Giustizia: un decreto, tre problemi

di Stefano Anastasìa

Con un triplice colpo il nuovo Governo ha presentato le sue credenziali in materia di giustizia

Prevedibile era un decreto-legge in materia di ergastolo ostativo: è imminente la scadenza fissata dalla Corte costituzionale per la pronuncia di illegittimità della pena perpetua senza possibilità di revisione e dunque il Governo ha avuto buon gioco nel dare valore di legge al testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, nel tentativo di evitare la declaratoria di incostituzionalità già anticipata con un’ordinanza dell’aprile dello scorso anno (n. 97/2021). Teoricamente ora la Corte dovrà pronunciarsi sulla normativa contenuta nel decreto-legge, ma si tratta – almeno formalmente – di disciplina temporanea, in attesa della (sempre eventuale) conversione in legge da parte del Parlamento, nelle forme che esso vorrà. E’ possibile quindi che la Consulta rinvii ulteriormente la decisione, per pronunciarsi sulla disciplina che verrà a consolidarsi dopo l’esame parlamentare. Comunque, nel merito, saranno ancora tentativi di salvare l’ergastolo ostativo dalla pronuncia di incostituzionalità che la Corte costituzionale aveva anticipato, per altro sulla scia di una sua precedente decisione riguardante l’ammissibilità ai permessi-premio dei condannati ostativi e della seconda sentenza Viola contro Italia della Corte europea dei diritti umani. Una brutta pagina per tutte le istituzioni coinvolte, tutte a diverso titolo impegnate a rinviare, aggirare o impedire il fine costituzionale della pena nei confronti di persone in carne e ossa che avrebbero invece diritto a una valutazione obiettiva delle loro possibilità di reinserimento nella società come vuole l’articolo 27 della Costituzione.

Gran rumore, giustamente, ha fatto la definizione del nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, la cui pericolosità è innanzitutto nel modo in cui è scritto e quindi nelle sue slabbrate potenzialità applicative. Avrebbe dovuto essere la norma “anti-rave”, sul presupposto che ce ne fosse bisogno, visto che il casus belli, il raduno di Modena, si è concluso nel migliore dei modi, senza che le autorità di polizia abbiano avuto la necessità di segnalare all’autorità giudiziaria nessuno dei protagonisti per nessuno dei possibili reati già oggi contestabili, e anzi le cronache narrano del loro impegno a ripulire la sede dell’evento prima di lasciarlo. In realtà si tratta di una norma dai confini incerti, affidati alla discrezionalità dell’autorità di polizia, con evidenti rischi per il diritto di riunione costituzionalmente garantito. Se invece fosse applicato rigorosamente ai soli rave, subentrerebbe il rischio paventato dal presidente di Antigone, Patrizio Gonnella: “se mai dovessero arrestare tutti i ragazzi che partecipano a un rave, avremmo bisogno di almeno altre 100 carceri, 30mila poliziotti, 3 miliardi di euro. Più che di sovraffollamento, dovremmo parlare di internamento di massa”. Non è certo così che si può affrontare un fenomeno di massa come quello dei consumi e delle aggregazioni giovanili underground.

Infine, la sospensione dell’entrata in vigore della cd. “riforma Cartabia” del processo penale. Da molte parti, nelle scorse settimane, si erano sollevate perplessità sulla sua immediata applicazione, e forse ci voleva più tempo per attrezzare uffici giudiziari e studi legali, ma quello che inquieta è un argomento speso per questa sospensione che sembra preludere a modifiche di merito: nel mirino della maggioranza ci sarebbe la previsione di sanzioni alternative al carcere per i reati minori comminabili già in sentenza. La propaganda penal-populista le chiama “norme salvaladri”, ma sarebbero la prima seria risposta, da molto tempo a questa parte, al sovraffollamento penitenziario, all’inadeguatezza degli spazi e del personale penitenziario, alla fatica dei poliziotti che lavorano in sezione, alla disperazione dei detenuti che ci ha portato al record dei suicidi in carcere. Se così fosse, se davvero il ministro Nordio volesse iniziare il suo mandato come fece il suo predecessore Bonafede, espungendo da una riforma in itinere le alternative al carcere, sarebbe veramente un pessimo inizio, foriero di tempi difficili.