I tre aspetti del caso Cospito

di Stefano Anastasìa*

Persone sottoposte a un regime di sostanziale isolamento per dieci, venti, trenta o più anni; l’immiserimento di ogni possibilità di relazione affettiva; le innumerevoli vessazioni cui coloro che ne sono destinatari sono costretti in virtù di leggi, circolari e prassi su cui le Corti superiori sono interpellate, mancando la fonte legislativa da impugnare

L’aggravarsi delle condizioni di salute di Alfredo Cospito ha finalmente richiamato l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Si intrecciano, in questa vicenda, almeno tre questioni distinte, e ciascuna merita di essere adeguatamente affrontata. Innanzitutto, soprattutto ora, quando la forma di protesta consapevolmente scelta da Cospito lo ha portato alla soglia di conseguenze irreversibili, c’è la questione della tutela della sua vita e della sua salute.

Subito dopo c’è la legittimità del provvedimento di applicazione del regime di 41bis e della sua perdurante attualità. Infine, c’è la questione dello stesso regime del 41bis, che è la motivazione originaria della protesta di Cospito. Tutte questioni che meritano risposte adeguate nel merito e nei tempi. E preliminarmente va detto che azioni violente contro cose o persone che a qualsiasi titolo rappresentino l’autorità pubblica non solo sono condannabili in se stesse, in quanto riproducono quella violenza che vorrebbero contestare, ma non aiutano a risolvere nessuno dei tre problemi in cui si sostanzia il caso Cospito e anzi sono palesemente controproducenti, come dimostra la chiusura a riccio del governo dopo i fatti di sabato a Roma e davanti alle sedi diplomatiche all’estero. Chi intende sostenere la causa della salute di Cospito, la sua liberazione dal regime cui è sottoposto o la sua battaglia contro il 41bis dovrebbe quindi evitare di dare argomenti contrari a ogni soluzione di ciascuna delle tre questioni poste dallo sciopero della fame di Alfredo Cospito.

Innanzitutto bisogna ricordare che lo Stato, e specificamente l’Amministrazione penitenziaria, è responsabile delle condizioni di vita e di salute di Alfredo Cospito. Non certo della sua volontà di condurre il suo sciopero della fame anche fino alle estreme conseguenze (volontà che non può essere coartata o negata), ma della necessaria assistenza quali che siano le sue condizioni di salute. Come ripete da giorni il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, Cospito va immediatamente trasferito dove può essere adeguatamente assistito nell’aggravamento progressivo delle sue condizioni. E forse ormai il semplice trasferimento in un altro carcere più attrezzato di quello di Sassari (per mezzi interni e per collegamento con strutture esterne) potrebbe non essere più sufficiente. L’Amministrazione penitenziaria, dunque, deve valutare anche la possibilità di trasferire Cospito in un luogo di cura adeguato: non sarebbe la prima volta per un detenuto in 41bis, se è necessario si faccia subito.

Distinta dalle sue condizioni di salute, c’è la questione della legittimità dell’applicazione del 41bis a Cospito. È pendente il giudizio della Cassazione sulla decisione con cui il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto legittimo il decreto ministeriale di disposizione del regime speciale al militante anarchico. La difesa di Cospito ha peraltro portato nuovi argomenti contro l’applicazione del 41bis nel caso specifico, alcuni di essi anche desunti dalla stessa sentenza di condanna, che riconosce la struttura acefala dei movimenti anarchici e dunque l’impossibilità di riconoscere in Cospito il capo di un’organizzazione criminale, presupposto dell’applicazione del 41bis che, ricordiamolo, non riguarda gli associati alle organizzazioni criminali, ma solo coloro che si ritiene possano dare ordini a gruppi attivi all’esterno. L’emergere di nuovi argomenti contro l’applicazione del regime di 41bis a Cospito giustifica anche il riesame del provvedimento da parte del Ministro in carica che può sempre revocare atti di propria disposizione, e questo – giustamente – ci si aspetta ora dal Ministro Nordio: che non si trinceri dietro formalismi interpretativi e si prenda le sue responsabilità nel caso concreto.

Infine c’è la questione del regime previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, dalle sue circolari applicative e dalle prassi in cui si sostanzia che, ricordiamolo, è la motivazione originaria della protesta di Cospito, non per sé, ma per tutti. Avendo esperienza di visite nelle sezioni di 41bis e di interlocuzioni con le persone che vi sono detenute, con i loro familiari e avvocati, posso dire che si tratta di un regime terribile, ma la Corte costituzionale, la Corte europea dei diritti umani e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura lo hanno più volte giudicato legittimo, e dunque compatibile con il divieto di trattamenti degradanti o contrari al senso di umanità. Ma ciascuno di questi pronunciamenti ha posto o ha chiesto dei limiti al 41bis, invocandone la provvisorietà, la rivedibilità, la limitazione alle misure strettamente necessarie all’interruzione dei rapporti con l’esterno, la garanzia dei diritti umani fondamentali che vanno riconosciuti a ciascuna persona, anche in stato di detenzione, anche per fatti gravissimi, anche se costituiscono un pericolo per la società esterna. Questo prevede un ordinamento fondato sulla universalità dei diritti umani e sulla sottoposizione di ogni potere alla legge, alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali.

Dunque, non è del 41bis in astratto che si può discutere, ma della sua attuazione concreta: delle persone sottoposte a un regime di sostanziale isolamento per dieci, venti, trenta o più anni; dell’immiserimento di ogni possibilità di relazione affettiva; delle innumerevoli e inutili vessazioni cui coloro che ne sono destinatari sono costretti in virtù di leggi, circolari e prassi su cui le Corti superiori sono interpellate, spesso senza poter dare risposte, mancando la fonte legislativa da impugnare. Addirittura il giudicato dei magistrati di sorveglianza viene sistematicamente disatteso, se non obbligato da un successivo giudizio contro l’inazione dell’Amministrazione penitenziaria.

Di tutto questo si può e di deve discutere. Non per cedere a ricatti, come qualcuno dice per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma perché lo hanno chiesto nelle loro deliberazioni il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il Garante nazionale delle persone private della libertà, la Commissione diritti umani del Senato e finanche la Corte costituzionale, quando ha legittimato il 41bis nella misura in cui anche i detenuti a esso sottoposto siano destinatari dell’offerta trattamentale per il reinserimento che spetta a tutte le persone detenute in virtù dell’articolo 27 della Costituzione. Di questo, dunque, si discuta, anche nelle sedi deputate, sulla base della copiosa documentazione istituzionale sulle storture e i limiti dell’applicazione concreta del 41bis.

* Articolo pubblicato nel sito dell’Huffington Post del 30 gennaio 2023, con il seguente titolo: “Tutti i motivi per mettere in discussione il 41 bis (anche prima del caso Cospito)”.