Le domande sulla morte di Abdel nell’ospedale San Camillo di Roma

di Stefano Anastasìa

Abdel, con i suoi ventisei anni, è arrivato in Italia dalla Tunisia i primi di ottobre. Il 12 risulta negativo al Covid e dopo una breve quarantena sulla nave attrezzata a largo di Augusta, in Sicilia, viene trasferito a Roma, presso il Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria, con un certificato che ne attesta la compatibilità con la vita ristretta. A una prima anamnesi fatta all’indomani del suo arrivo a Roma, Abdel risulta in buone condizioni psico-fisiche. Dieci giorni dopo, però, nel colloquio con la psicologa della struttura manifesta sintomi di sofferenza e di disagio psichico. La psicologa chiede quindi la visita di uno specialista in psichiatria della Asl territoriale, che avviene un paio di settimane dopo. Lo psichiatra riconosce condizioni indicative di una sofferenza mentale e gli prescrive una terapia farmacologica. Passano dieci giorni e Abdel, ancora sofferente e forse intollerante ai farmaci, incontra nuovamente la psicologa, che chiede un nuovo consulto psichiatrico. A questo punto lo psichiatra dispone il ricovero in un ambiente ospedaliero che consenta una più attenta valutazione delle sue condizioni cliniche e delle necessità terapeutiche. Abdel viene prima portato al pronto soccorso dell’ospedale Grassi di Ostia e poi di là al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura della Asl Rm3 attivo presso l’ospedale San Camillo di Roma. Lì, tre giorni dopo il ricovero Abdel muore.

La morte di una persona affidata alla custodia e alle cure di amministrazioni pubbliche va sempre attentamente indagata, per escludere responsabilità di terzi, e in particolare delle stesse strutture a cui era affidata, nel tragico evento. E anche in questo caso la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo e disposto i primi accertamenti, a partire dall’autopsia del corpo del ragazzo tunisino. Non sappiamo ancora cosa sia emerso da questi primi accertamenti, ma abbiamo visto le carte sanitarie raccolte presso il Centro di Ponte Galeria e facciamo in pubblico le domande che ci siamo fatti in privato, nella speranza che il lavoro dell’autorità giudiziaria e la collaborazione di tutte le istituzioni coinvolte, dalla prefettura a quelle sanitarie, possano fugare tutti i dubbi che emergono alle prime considerazioni dei fatti.

La sofferenza mentale di Abdel era precedente al suo trattenimento o è maturata nel corso del suo svolgimento? E, nella prima ipotesi, perché non è stata valutata nella “compatibilità con la vita ristretta”? Nella seconda ipotesi, invece, come è possibile che un trattenimento di dieci giorni (certo: successivo alla quarantena e alle difficili condizioni di arrivo in Italia) faccia emergere una sofferenza tale da imporre un ricovero per accertare un disturbo psichiatrico e i modi per trattarlo?

E poi, quale offerta terapeutica è stata data ad Abdel nei cinque giorni di ricovero, prima al Grassi e poi al San Camillo? Dal registro della contenzione dell’ospedale romano sembra che il ragazzo sia stato legato al letto per tutte le sessantatré ore di degenza nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura. E’ così? Altri tragici casi, come quello di Franco Mastrogiovanni, il maestro morto dopo ottantatré ore di contenimento nell’ospedale di Vallo della Lucania, ci hanno insegnato, con tanto di giudicato di Cassazione, quanto quella pratica di coazione fisica possa essere addirittura letale. Possiamo escludere che sia questo il caso?

Queste domande si fanno non per lanciare sospetti, né per mettere sotto accusa nessuno, ma solo per il dovere di responsabilità delle istituzioni pubbliche nei confronti della vita e delle persone che sono loro affidate. Per questo speriamo davvero che la Procura riesca a fare piena luce su quanto accaduto ad Abdel nei suoi ultimi due mesi di vita.

Poi, se mai in tutto questo abbiano avuto un ruolo le condizioni di arrivo in Italia, o di trattenimento sulla nave quarantena o nel Cpr, bisognerà tornare a chiedersi se tutto questo armamentario respingente e coattivo ha un senso, se la vita umana può essere messa a repentaglio per la difesa simbolica di un confine statale.

(Articolo pubblicato sull’Huffington post del 6 dicembre 2021 con il titolo: “Le domande sulla morte di Abdel nel Cpr di Ponte Galeria”).