Le impressioni di un “nuovo giunto”

L’impatto con la detenzione, l’esigenza di reagire

di S. B.*

Varco il cancello e mi ritrovo in matricola, il cuore batte forte, la testa è un frullato di pensieri. Sono un nuovo “giunto”, faccio le foto segnaletiche, mi prendono le impronte digitali, mi guardo intorno. Sale in me la consapevolezza che ormai faccio parte della popolazione carceraria. In questi pochi giorni di reclusione inizio già a vedere il frantumarsi dei rapporti familiari, il distacco degli affetti. È veramente pesante, vedo detenuti avanti con l’età con molte patologie trascinarsi e ti viene subito in mente la parola dignità. Già, la dignità umana, che in questo contesto se ne intravede ben poca, soprattutto per le persone più fragili.

Quello che contraddistingue le giornate è il ripetersi dei momenti, dei discorsi, creando una routine assordante, innescata dal fatto che l’assuefazione qui la fa da padrona. In tutto questo vengono tuttavia evidenziate note positive, quelle date dal personale “intramurario”, da coloro – docenti e volontari – che tutti i giorni, con la loro professionalità e con quelle poche risorse messe a disposizione, cercano di rompere quella routine e rendere il percorso detentivo più morbido. Mi riferisco alle attività delle scuole, alle attività sportive e quelle ludiche quali i corsi di pittura, i laboratori di scrittura creativa, di favole, di recitazione con le compagnie di teatro presenti alla Cr Rebibbia.

Tuttavia è la speranza a farla da padrone, una speranza condivisa da tutti, soprattutto da quelle persone, appunto, che si impegnano tutti i giorni a migliorare il sistema rieducativo. Certo, le problematiche sono tante, ma non per questo bisogna arrendersi. Si deve lavorare tutti insieme per
rendere le giornate detentive qualitativamente migliori di quelle che sono.
Sarebbe auspicabile che si unissero le forze per ampliare le attività attraverso la collaborazione di più associazioni e realtà competenti, al fine di raggiungere quello che la Costituzione stabilisce: rieducare e reinserire il detenuto all’interno della società, soprattutto attraverso il lavoro.

Tuttavia rimane il fatto che la detenzione è dolorosa; dagli affetti lasciati fuori, che vedi soltanto una volta a settimana e dalla perdita progressiva della dignità umana. Mi vengono in mente quei detenuti soli, senza nessun affetto esterno che possa alleviare il dolore delle sbarre. È proprio su questo tema che vorrei soffermarmi.

Andrebbe rivisto il sistema burocratico all’interno degli istituti penitenziari, come rafforzare il comparto sanitario, aumentare l’organigramma della polizia penitenziaria, ma soprattutto ripensare e rendere efficace l’accesso alle pene alternative. Ecco perché è giunta l’ora di sterzare e dare risposte concrete e necessarie, riconsegnando le chiavi della dignità umana alle persone carcerate, che è vero si sono macchiate di colpe, ma che hanno diritto ad una seconda possibilità, quindi è necessario compiere un atto di fiducia che sia inteso come frutto prezioso per un percorso condiviso da tutti.

* Articolo pubblicato su “Non tutti sanno”, notiziario della Casa di reclusione di Rebibbia, n. 7, maggio 2025: NOTIZIARIO N.7 MAGGIO (3).