Intervista di Alfonso Raimo*

Anastasìa in volo verso l’Albania, per la visita al centro italiano di trattenimento per migranti di Gjader.
“Punire i minori di 15-16 anni come se fossero maggiorenni”. La proposta di Matteo Salvini è “incostituzionale e controproducente”, spiega all’Huffpost Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio. Già portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Anastasia è anche docente di filosofia e sociologia del diritto all’Università di Perugia.
Garante, come vivono i detenuti minorenni negli istituti di pena italiani?
Assistiamo a un sovraffollamento delle carceri minorili che prima non c’era. Le condizioni di vita e di trattamento sono molto critiche. Registriamo numerosi episodi di conflittualità, violenze e proteste. Le carceri minorili sono in una situazione critica. Io sono garante nel Lazio da 9 anni e registro un peggioramento netto. In particolare negli ultimi due anni, la filosofia del pugno duro adottata da questo governo contribuisce a creare un clima di tensione che non aiuta. Negli istituti sta venendo meno la capacità di costruire percorsi di reinserimento perché viene meno la relazione di fiducia che c’è tra l’istituzione e i detenuti. Coi ragazzi funziona così: quello che dai, ricevi.
La proposta di Salvini può aggravare il quadro?
È una classica espressione del populismo penale, la ricerca del consenso fondata sulla minaccia della pena. L’idea che un problema si risolve aggravando la pena, cosa che non ha mai dato soluzione da nessuna parte. I paesi con le pene più dure hanno i tassi di omicidi più alti. Nello specifico la proposta è il punto finale di una traiettoria che va avanti da tempo e che crea sfiducia nella relazione tra istituzioni e i ragazzi, che pure commettono reati e ne devono rispondere. Non è che Salvini parla e questa cosa non si vive dentro gli istituti. Diventa un motore di scelte e modalità di funzionamento dell’istituzione, che alla fine diventano solo luoghi di custodia e non fanno altro che generare rabbia, rancore, volontà di rivalsa e quindi future violazioni di regole e reati. È un indirizzo politico disastroso. Che non ha nessuna prospettiva anche in termini di sicurezza e prevenzione dei reati. Per fortuna non è realizzabile perché è in contrasto con la Costituzione.
Perché dice che è incostituzionale?
Il nostro ordinamento tutela in modo particolare la minore età. Nel sistema penale, per i minorenni la finalità rieducativa della pena ha un significato particolare. E lo si misura anche nella durata della pena: non è uguale per tutti, è commisurata all’età e all’esperienza di ciascuno, perché due anni di pena a 17 anni sono una parte considerevole della vita, mentre a sessanta sono una parte molto minore. La pena detentiva coi minori deve essere ridotta ad extrema ratio, bisogna favorire il reinserimento sociale. Immaginare che si possano equiparare ai maggiorenni è incostituzionale, perché viola l’articolo 3 che ci obbliga a una valutazione diversa a seconda delle condizioni soggettive diverse delle persone, e poi perché la Costituzione prevede espressamente la tutela della minore età. A meno che non si voglia abbassare il limite della maggiore età. Ma questa è un’altra cosa.
In che modo le politiche del governo peggiorano il sistema penale minorile?
C’è un problema sul tipo di atteggiamento che vogliamo avere nei confronti dei ragazzi. Il decreto Caivano, incentrato sulla repressione, non ha prodotto risultati in termini di prevenzione e rieducazione. Il decreto Cutro ha smantellato il sistema dell’accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, privandoli della rete di supporto degli enti locali. I ragazzi sono più facilmente esposti all’inserimento nei circuiti di devianza, per potersi mantenere entrano dentro circuiti di microcriminalità organizzata, piccolo spaccio e altre cose di questo genere. Questo approccio sta portando alla crisi del sistema della giustizia penale minorile che è stata una delle esperienze più significative della giustizia penale italiana degli ultimi 30 anni. Era un modello imitato all’estero. Ma è inutile fare la faccia truce: il problema è quale alternativa dai a questi ragazzi.
Il ministro Carlo Nordio ha annunciato un piano per affrontare il sovraffollamento nelle carceri. Che giudizio dà?
Non c’è consapevolezza della gravità della situazione. Abbiamo 15mila detenuti in più della capienza regolamentare. Mancano migliaia di agenti di polizia penitenziaria, c’è carenza del personale sanitario. E in aggiunta all’emergenza c’è l’assenza di prospettiva: il governo vuole costruire più carceri, ma non lo si fa mica in un giorno. Lo stesso vale per i cosiddetti moduli detentivi, i container. Per poterli gestire serve una struttura e personale ad hoc.
Nella proposta di Nordio c’è anche l’ipotesi di snellire le procedure della liberazione anticipata facendola gravare sugli istituti di pena e in misura minore sui magistrati di sorveglianza.
Ma sono compiti a cui i direttori già assolvono oggi. Il giudice non può decidere senza la relazione dell’istituto penitenziario. Alla fine c’è sempre il problema della decisione del giudice su migliaia di posizioni, e ovviamente con metri e culture diverse, visto che ogni giudice è autonomo nella valutazione. Nonostante le migliori intenzioni del ministro, i giudici di sorveglianza devono essere messi in condizioni di decidere. Sulla pena non può decidere l’autorità amministrativa.
Altra misura, annunciata da Nordio è il potenziamento delle misure alternative per i detenuti con problemi di tossicodipendenza.
Anche questa è una proposta che torna ciclicamente. C’era già nella Fini-Giovanardi del 2006, e c’era nel decreto ‘carcere sicuro’ dello scorso anno. Erano finanziati 280 posti in comunità di recupero: ebbene in carcere abbiamo 20 mila detenuti con questi problemi, di cui il 90 per cento con pene inferiori ai sei anni. Il problema non è la legge, ma le risorse. Che cosa facciamo a fronte di 20mila detenuti? A proposito di risorse. Il piano carceri ha assorbito tutte le risorse, finanche quelle della manutenzione ordinaria degli istituti. Oggi le direzioni hanno difficoltà anche a fare la manutenzione ordinaria, a riparare le docce, perché le risorse sono tutte assorbite dal commissario straordinario all’edilizia.
Lei cosa propone per affrontare il problema del sovraffollamento?
Oggi abbiamo una giustizia penale di censo. Va in carcere chi non riesce ad accedere alle misure alternative. Bisogna invece allargare le maglie perché quanti più detenuti possano accedere alle misure non detentive. Mi spiego: buona parte della popolazione carceraria è accusata per reati minori, tra i 6 mesi e i due anni di pena. La maggioranza ha pene inferiori ai tre anni. Per avere le misure alternative ed evitare il carcere ci vuole il domicilio, l’inserimento sociale, la tutela legale, un’attività lavorativa… tutte cose che le persone meno abbienti non hanno. Chi non ha queste cose va in carcere anche per scontare una pena anche solo di sei mesi. Dobbiamo trovare alternative al carcere lavorando sul reinserimento sociale. Alessandro Margara, che fu magistrato di sorveglianza a Firenze e Bologna, immaginava case di reintegrazione sociale, luoghi di dimora esterni al carcere. Nell’emergenza una soluzione può essere la liberazione anticipata speciale, anche se è complicata e deve essere decisa dal giudice. La via maestra sarebbe l’indulto: ma è un provvedimento di cui la politica si deve assumere la responsabilità. Non mi pare che ci siano le condizioni politiche. Intanto stiamo trasformando il carcere in un ospizio dei poveri.
*Intervista pubblicata sul sito dell’Huffington Post del 31 luglio 2025, con il seguente titolo: “Stefano Anastasia: “La proposta di Salvini di alzare le pene per i minori è incostituzionale e dannosa””.