La necessità di intimità con i propri partner liberi, tra attese, speranze e il desiderio di non sentirsi soli

di Roberto M. e Marco P.

Negli ultimi anni, anche in Italia, si è cominciato a riconoscere il diritto dei detenuti a coltivare i propri legami affettivi in modo più umano e dignitoso. Le stanze dell’affettività – note anche come “camere dell’amore” – sono spazi riservati all’interno degli istituti penitenziari dove i detenuti possono incontrare in modo riservato i propri coniugi, partner o familiari più stretti. Queste stanze non servono solo a favorire l’intimità, ma rispondono a un bisogno profondo di mantenere vivi gli affetti, il contatto umano, la continuità relazionale.

Introdotte in seguito a una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 10/2024), rappresentano un passo verso una detenzione più attenta alla dignità e alla rieducazione della persona. Al momento, solo pochi Istituti di pena italiani si sono adeguati a questa disposizione, ma l’auspicio è che il percorso intrapreso non si blocchi.

Cosa può spiegare le emozioni che proviamo all’idea di incontrare la nostra compagna, nel desiderio di ritrovare quell’intimità che tanto ci manca?
Non si tratta soltanto della dimensione sessuale – della quale certamente si può sentire la mancanza – ma piuttosto di un bisogno più profondo: quello di non perdere l’affetto, o l’amore, a seconda di come lo si voglia interpretare. È il bisogno di sentirsi, anche solo per poco, liberi da ogni controllo. Poter dialogare, esprimere un’effusione, sentirsi meno lontani.

Per molti di noi il valore della famiglia è immenso, così come la consapevolezza della perdita della libertà, dell’impotenza nell’affrontare i tanti problemi che ci si pongono quotidianamente.
Per noi, qui dentro, le difficoltà sono spesso mentali; ma fuori, per chi ci ama, sono reali, pesanti, a volte quasi ingestibili. Nonostante tutto, però, molte famiglie restano unite e piene di speranza.

L’attesa tra un colloquio e l’altro è già di per sé molto dura. Per noi, perché il tempo sembra non passare mai; per le nostre compagne o mogli, perché affrontare ogni volta il viaggio fino all’Istituto è fonte di stress.

Ci sono le lunghe file da sopportare, l’impegno nel portare quei piccoli ma preziosi doni: prodotti alimentari che ci ricordano i sapori di casa, vestiti lavati e profumati, con quell’odore familiare che tanto ci manca.
A tutto questo, talvolta, si aggiungono umiliazioni: perquisizioni imposte per motivi che spesso dipendono da incidenti o disordini interni all’Istituto, che richiedono maggiori controlli delle persone che entrano come visitatori.

Per noi, dunque, ogni incontro rappresenta un’occasione preziosa. È una conferma della fiducia e della credibilità della propria famiglia, un’opportunità per continuare a vivere grazie al legame con chi abbiamo lasciato fuori, a causa dei nostri errori. Il giorno dei colloqui è atteso da tutti. Nella sezione si aspetta di essere chiamati, ci si prepara con cura, si prova a nascondere l’emozione.

Ma accade spesso che accanto a noi ci sia qualcuno che non ha la nostra stessa fortuna: non ha nessuno che venga a trovarlo, nessuno da cui aspettarsi una visita, nemmeno un volto da immaginare. E allora la gioia che proviamo si mescola al senso di colpa. Perché vivere questi momenti intensi davanti a chi è solo non è facile. Si percepisce il disagio, il loro silenzio pesa più di mille parole.

Ci si rende conto che, per alcuni, il carcere è davvero un luogo assoluto di separazione.
Non solo dal mondo libero, ma anche da ogni forma di affetto.
Chi non ha nessuno fuori spesso si isola, si chiude, oppure tenta di non darlo a vedere.
Ma il dolore è visibile, anche quando non viene espresso.
Si insinua nei discorsi, negli sguardi, nei piccoli gesti.
E ci ricorda quanto la detenzione senza legami possa diventare una condizione disumana.

In quei momenti capiamo quanto siamo fragili, e quanto il bisogno di amore, vicinanza e riconoscimento sia universale.

Pubblicato sul giornale della Casa circondariale di Velletri, “Voci di Ballatoio”, numero 4 –agosto 2025, con il titolo “Il valore degli affetti in carcere/ La necessità di intimità e legami affettivi in carcere, tra attese, speranze e il desiderio di non sentirsi soli”, scaricabile da qui: Voci di ballatoio n.4

I numeri di “Voci di ballatoio” finora usciti si trovano nel sito dell’associazione La Farfalla.