“Il problema è che tipo di scelte vogliamo fare rispetto al penitenziario: se pensiamo che veramente il carcere debba essere l’estrema ratio oppure se pensiamo che debba essere l’ospizio dei poveri, il luogo in cui mettere coloro che danno fastidio”. Così Stefano Anastasia, Portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà e Garante delle persone detenute della Regione Lazio, all’apertura del convegno “Carcere” e comunità e territorio, del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), associazione di promozione sociale alla quale aderiscono circa 260 organizzazioni, fra cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, enti religiosi.
La due giorni di confronto, in corso di svolgimento a Roma, è stata aperta dalla presidente del Cnca, Caterina Pozzi, la quale ha ricordato, tra l’altro le indagini svolte dal Cnca in materia di giustizia riparativa. E’ poi intervenuta Sonia Caronni, Garante delle persone detenute del Comune di Biella, la quale ha illustrato la bozza di documento sull’esecuzione penale messo a punto con la Conferenza dei Garanti territoriali. Dipendenze, salute mentale, detenzione di genere, diritti dei minori in carcere, esecuzione della pena esterna e interna: questi i punti affrontati dal documento. Sono poi intervenuti Luca Rondi, giornalista, il quale ha illustrato i dati del suo servizio sull’uso degli psicofarmaci in 15 istituti penitenziari italiani, pubblicato da Altraeconomia, e la Provveditrice dell’amministrazione penitenziaria per la Campania, Lucia Castellano, la quale ha posto l’accento sulle difficoltà di attuazione della circolare dell’ex Capo del Dap, Carlo Renoldi, che dettava alcune disposizioni sul passaggio graduale delle persone dal carcere alla società.
“La responsabilità degli enti territoriali – ha detto Anastasìa nel corso del suo intervento con cui si è concluso il programma mattutino della prima giornata di lavori – è quella di offrire opportunità di reinserimento sociale a quelle persone che stanno finendo di scontare una pena, ma hanno molte meno risorse per il sociale. Intanto, però c’è una legge di bilancio nazionale: si istituisca un fondo nazionale per l’housing e l’esecuzione penale esterna. Il ministro Salvini si è vantato di aver stanziato 160 milioni di euro per l’edilizia penitenziaria, di cui 100 milioni sono dedicati alla costruzione di tre istituti di pena che se va bene saranno in funzione tra dieci anni per 1000/1500 persone. Se quei cento milioni fossero viceversa investiti negli enti territoriali, perché possano fare una politica di accoglienza e di sostegno per coloro che scontano una pena inferiore a un anno o che sono a un anno dalla fine della pena, noi avremmo non tra dieci anni ma tra sei mesi dieci mila persone fuori. Sono scelte.”.
Anastasìa ha inoltre rilanciato la sua idea di carcere a numero chiuso. ““Bisogna decidere di tirare una linea. Bisogna avere il coraggio di dire che c’è una soglia oltre la quale il carcere non può andare, non semplicemente sulla base degli gli spazi, di quante persone ce ne entrano. Il problema non è solo quello, ma il sistema: per quante persone può garantire il divieto di trattamento contrario al senso di umanità che significa innanzi tutto un’assistenza sanitaria adeguata? Per quante persone può garantire un percorso trattamentale di reinserimento sociale? Ciò significa non valutare semplicemente gli spazi, ma anche le persone a disposizione dell’amministrazione penitenziaria, le persone a disposizione del servizio sanitario nazionale, gli insegnanti in carcere. Quanti ne posso seguire nel pieno rispetto della Costituzione? Bisogna capire che il nostro sistema può andare bene per trentamila persone e non per sessantamila. Per trentamila persone significa scegliere, chi deve scontare la propria sofferenza in carcere e chi fuori. O sciogliamo questi nodi – ha concluso Anastasìa – o discuteremo all’infinito sul problema che ci trasciniamo da decine d’anni, perché manca questa decisione fondamentale: se vogliamo che il carcere sia l’extrema ratio oppure che sia l’ospizio dei poveri, tutti dentro e psicofarmaci per quanto possibile”.