La relazione al Parlamento del Garante nazionale, Mauro Palma

Nel suo intervento, Palma ha riassunto i punti principali delle oltre 400 pagine della relazione consegnata ai presidenti delle camere
Il Garante nazionale, Mauro Palma

Nella sala della Regina della Camera dei deputati, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha presentato la relazione al Parlamento 2021. E’ intervenuto con un indirizzo di saluto il presidente della Camera, Roberto Fico. Ha chiuso i lavori con un intervento la ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

Nel suo intervento, Mauro Palma ha riassunto i punti principali delle più di 400 pagine della relazione consegnata ai presidenti delle camere, affrontando i diversi ambiti di intervento del Garante nazionale: dalla detenzione penale a quella amministrativa delle persone migranti, dalla privazione della libertà in ambito sanitario alla custodia nei luoghi delle forze di polizia, fino ad arrivare alla possibile perdita di autodeterminazione di persone anziane o disabili ospiti in residenze sanitarie assistenziali.

Per il Garante nazionale, il filo che tiene unite situazioni fra loro così diverse è il rischio di una minore effettività dei diritti delle persone ristrette. Proprio per questo è necessaria l’azione di un Garante, che entri, veda, esamini la situazione e intervenga per cooperare al superamento delle criticità riscontrate, prevenendo il loro riproporsi.

Un punto centrale dell’intervento del Garante Palma è l’individuazione quale diritto soggettivo di ogni persona privata della libertà il reale perseguimento dell’obiettivo in base al quale la sua situazione di restrizione si è determinata. Un diritto che si accompagna alla necessità che il tempo di collocazione in strutture privative della libertà non sia soltanto tempo sottratto alla vita.

Per esempio, in ambito penale, la finalità rieducativa che la Costituzione assegna alle pene non costituisce soltanto una indicazione per le politiche penali: è un vero e proprio diritto della persona in esecuzione penale, in particolare se detenuta, che deve vedere il tempo che le è sottratto come tempo non vuoto, ma finalizzato a quell’obiettivo che la Costituzione indica.

Analogamente, la persona temporaneamente ristretta in una struttura per un trattamento psichiatrico non volontario deve vedere azioni effettive tese al superamento di tale condizione e al suo inserimento all’interno di una complessiva presa in carico del proprio caso. Nel caso dei Centri per il rimpatrio (Cpr), le persone migranti irregolari hanno il diritto di un impiego significativo del loro tempo, anche se sono in attesa di un rimpatrio.

Sulla detenzione in carcere c’è ancora molto da fare per dare significato al tempo di chi è recluso. Per questo è necessario un vero e proprio cambio di prospettiva. Occorre – ha detto Palma – porsi con forza il problema del domani e del fuori superando una visione solo concentrata sull’oggi e sul dentro. Riguardo all’ambito della salute, una particolare attenzione è stata rivolta alle residenze per persone anziane o disabili, che in Italia portano a un totale di più di 360 mila posti letto (nel 2020 circa 33 mila posti letto per disabili sotto i 65 anni, 312 mila per anziani, includendo i disabili con più di 65 anni, quasi 19 mila per persone con problemi di salute mentale). Strutture che rischiano – e la pandemia lo ha messo in evidenza – di diventare luoghi di internamento, in cui le persone sono private della loro autodeterminazione. Per questo, il Garante ha sollecitato un ripensamento complessivo del sistema, che ponga al centro la massima possibilità di espressione vitale di ogni persona, valorizzando ogni residuo di autonomia.

Rispetto al complesso tema delle migrazioni irregolari, la richiesta del Garante al Parlamento è di trovare la capacità di affrontarlo in modo meno contingente ed emergenziale, ripensando il modello stesso del Cpr, invece di inseguire quotidiane carenze. Proprio sulle condizioni attuali dei Cpr il Garante nazionale ha ricevuto i primi reclami da parte delle persone ristrette: una possibilità introdotta con l’ultimo decreto in materia di sicurezza della fine del 2020.

Un altro tema, verso il quale è sempre viva l’attenzione del Garante nazionale, è quello dell’accountability di chi opera nei luoghi di privazione della libertà: la necessità di trasparenza e di rispondere in modo documentato della propria azione. In alcuni casi il Garante ha ritenuto essenziale sollecitare le Procure a indagare su quanto riferito da più fonti e talvolta verificato direttamente anche attraverso l’analisi della documentazione scritta o video. Se è doveroso riconoscere l’opera positiva d’indagine compiuta dall’apposito Nucleo investigativo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è altrettanto necessario ribadire che proprio il potenziamento di tale capacità, unito a una impostazione più solida della formazione della Polizia penitenziaria e alla assoluta non interferenza con l’azione della magistratura garantiscono il doveroso riconoscimento verso chi opera in situazioni spesso difficili con un delicato compito e non può vedere la propria funzione riassunta dai pochi casi di coloro che offendono i valori fondanti di tale funzione.

In conclusione, nella sua azione di vigilanza lo sguardo del Garante non può fermarsi alla mera analisi della legalità formale dei singoli provvedimenti adottati, ma deve guardare alla legittimità sostanziale di ciò che essi determinano: il caso del giovane straniero irregolare oggetto di violenta aggressione per strada che ha trovato come unica risposta istituzionale il perseguimento della sua posizione di irregolarità amministrativa e quindi il confinamento in un Centro in vista di un rimpatrio non può non interrogarci.