“Un diario-racconto del carcere scritto in una lingua tesa, vibrante, sia riflessiva che fortemente narrativa, pieno di sofferenza senza redenzione e anche di amore struggente per la vita e per gli altri”. Così il saggista Filippo La Porta nella nota introduttiva al romanzo di Giuseppe Perrone, “Sofia aveva lunghi capelli”, edito da Castelvecchi.
La storia narra di Matteo, ergastolano che segue il sogno di commutare con una causa senza precedenti il proprio “fine pena mai” in pena trentennale, per salvare la speranza e non subire di fatto una condanna a morte in termini. In una vita carceraria scandita dall’assurdità minuta e quotidiana (gelo relazionale, distruzione in ogni di ogni cenno di umanità, annientamento lento e incolore della persona), Matteo metabolizza l’assurdo giuridico e filosofico della detenzione perpetua, e fa tutto il possibile per arrivare al cuore del sistema giuridico che stigmatizza ogni ergastolano come “colui che ha ucciso la Terra”. Lo studio serrato e la passione per una Giustizia ideale lo tengono in piedi, ma è l’amore per Sofia, sempre fedele nel mantenere lunghi i suoi capelli, come pegno simbolico di un sentimento più forte di una mostruosa deformazione sociale, che assurge per Matteo a vera ragione di vita.
Giuseppe Perrone, detenuto condannato all’ergastolo ostativo, al momento della pubblicazione ha conseguito quattro lauree, è coautore di altre opere e scrive opere teatrali, poesie e tavole per bambini, e ideatore di giochi.