di Stefano Anastasìa
(pubblicato sul quotidiano Il Riformista di giovedì 24 dicembre 2020)
Mentre tutto tace sul fronte del contrasto al Covid nelle carceri (le minime previsioni del decreto Ristori tali sono rimaste, la prossima campagna vaccinale ancora non sembra aver preso in considerazione i detenuti), la commissione Bilancio della Camera, su iniziativa del deputato Pd Paolo Siani, ha approvato un emendamento che – per la prima volta, dopo dieci anni – finanzia le case famiglia protette destinate a ospitare le donne in esecuzione di provvedimenti penali con figli piccoli e piccolissimi.
Apparentemente è piccola cosa: minimo è il finanziamento (1,5 milioni di euro per ciascuno dei prossimi tre anni) e non si interviene ancora sui vincoli legali che hanno consentito fino a ora la permanenza di bambini in carcere (34 al 30 novembre scorso, con le loro 31 madri; ma erano 59 prima del Covid); vincoli che sono l’oggetto di una specifica proposta di legge, sempre di iniziativa di Siani. Eppure la decisione della Commissione bilancio della Camera è tutt’altro che simbolica.
Chi ha seguito le vicende delle case famiglia protette istituite dalla legge 62 del 2011 sa che il vincolo di invarianza finanziaria, di fatto scaricato sugli enti locali che avessero deciso di attivarle, ne ha tarpato le ali, causando non pochi problemi anche a chi – grazie all’originario contributo di Fondazione poste – ne ha consentito l’avvio. E così, dopo dieci anni, le case famiglia protette sono ancora solo due (a Roma e a Milano). Oggi se ne discute anche in Emilia, Toscana e Piemonte, ed è auspicabile che le risorse stanziate (che dovrebbero essere sufficienti all’accoglienza di 50-60 donne con figli) consentano la realizzazione di un circuito nazionale adeguato alle necessità. L’emendamento prevede che entro due mesi dall’approvazione della legge di bilancio, il ministero della Giustizia, sentita la Conferenza stato-regioni-autonomie locali, ripartisca le risorse tra le regioni interessate a sostenere l’accoglienza delle donne con i loro bambini.
Certo, poi i problemi non saranno risolti, perché – come sanno bene le associazioni e gli enti del terzo settore che hanno sollecitato l’iniziativa dell’on. Siani (A Roma Insieme, Cat, Cittadinanzattiva, La Gabbianella e Terre des Hommes) – restano i vincoli legali e – aggiungo io – la cultura dominante, che associa indebitamente e arcaicamente la pena al carcere. Ma si spera che la maggioranza che ha finanziato le case famiglia protette sia conseguente nell’esame della proposta di legge Siani. La partita più difficile è e resterà quella culturale, da combattere contro il riflesso condizionato carcerocentrico che attanaglia tanto i populisti penali e il loro pubblico, quanto operatori del diritto adagiati su rassicuranti categorie reclusorie. Ma l’obiettivo della liberazione di tutti i bambini e le bambine dalle nostre carceri merita questo sforzo, per quanto impegnativo, lungo e accidentato possa essere.