No alla reclusione per le donne incinte: appello promosso dalla Società della Ragione

Il DdL sicurezza prevede la non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a un anno di età
Messina, ottobre 2002 - Casa circondariale di Gazzi - Sezione nido - Una giovane detenuta rom con i suoi due figli (Foto di Francesco Cocco/Contrasto)

Stefano Anastasìa, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, ha sottoscritto l’appello promosso dall’associazione Società della Ragione “Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, insieme ai loro bambini e bambine”, assieme ai Garanti territoriali Giuseppe Fanfani (Regione Toscana), Sofia Ciuffoletti (Comune di San Gimignano), Luisa Ravagnani (Comune di Brescia).

“Il DdL sicurezza – si legge nell’appello – prevede, fra le varie misure repressive, la non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a un anno di età.  Il rinvio non solo diventa facoltativo, con tutti i problemi inevitabilmente legati anche alle tempistiche per ottenerlo, ma può essere rifiutato laddove si ritenga che la donna possa commettere ulteriori reati. Di fatto, con questa previsione, il governo riesce a peggiorare persino il codice Rocco, nonostante la Costituzione si esprima in maniera estremamente chiara a favore della tutela della maternità e dell’infanzia e  nonostante i pronunciamenti nello stesso senso della Corte costituzionale e delle convenzioni internazionali. Con questa norma, non solo si punisce la donna per la “doppia colpa” di aver tradito col reato la “missione” materna, sulla scia dello stereotipo patriarcale; ma si permette che lo stigma ricada pesantemente sul/sulla di lei figlio/figlia”.

“Abbiamo sempre affermato – prosegue l’appello della Società della Ragione – che nessun bambino e bambina dovrebbe stare in carcere, che il carcere non è luogo dove la relazione madre bambino possa essere serena, tantomeno può essere il luogo ove una donna possa portare avanti in condizioni di sicurezza e dignità la propria gravidanza e, infine, partorire. E neppure possono essere soluzioni congrue gli ICAM, istituti a custodia attenuata, che sono pur sempre strutture carcerarie. Né sarebbe sostenibile la soluzione di separare i neonati e le neonate dalle proprie madri, come ricordato sia dal CPT- Comitato Prevenzione Tortura che dalla Corte Europea dei Diritti Umani che cita la pertinente disposizione dell’OMS, secondo cui un neonato sano deve rimanere con la propria madre. Piuttosto, le case- famiglia potrebbero rappresentare una alternativa accettabile per le detenute partorienti e i loro bambini o bambine che non godono di un domicilio sicuro e dignitoso. Ma le case- famiglia, già previste per legge e parzialmente finanziate solo per alcuni anni, non sono state costruite. Rilanciamo quindi con forza i contenuti della campagna Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, insieme ai loro bambini, che due anni fa ha visto una forte mobilitazione a difesa dei diritti delle donne e dei figli. Dobbiamo contrastare le norme del ddl governativo, superare gli ICAM e costruire le case famiglia”.

“Chiediamo alle organizzazioni della società civile di aderire a questo appello – concludono i promotori dell’appello -e di farlo conoscere, condividendo le iniziative perché il ddl sicurezza sia modificato. Chiediamo a tutti coloro che pensano che questa misura sia insostenibile in un paese civile di sottoscrivere l’appello”.

Le adesioni all’appello, sia di singole persone sia di associazioni, possono essere inviate a info@societadellaragione.it