In un anno c’è stato un calo di circa il 12 per cento del numero dei detenuti nelle carceri italiane, ma resta ancora superiore a quello dei posti regolamentari. E per rientrare nella “legalità” occorrerebbe “deflazionare il sistema” di 4-8mila persone. A fotografare la situazione è il diciassettesimo rapporto sulle condizioni di detenzione, intitolato “Oltre il virus”, dell’associazione Antigone, “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Stefano Anastasìa, Garante delle persone private della libertà per le regioni Lazio e Umbria e Portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali è tra i fondatori di Antigone e attualmente ricopre la carica di presidente onorario.
In quest’anno, fortemente condizionato dall’emergenza coronavirus, il sovraffollamento, “da condizione oggettiva di trattamento degradante” è “diventato – sottolinea l’associazione, che dal 1998 entra con i suoi osservatori negli istituti di pena per monitorarne le condizioni di vita – anche questione di salute pubblica”: è quindi necessario alleggerire ancora la pressione. Al 28 febbraio 2021 i detenuti erano 53.697, a fronte di 61.230 al 29 febbraio del 2020, a pochi giorni dalla scoperta del paziente zero: dunque in dodici mesi il calo è stato pari a 7.533 unità, corrispondente al 12,3 per cento del totale. La riduzione ha riportato l’Italia vicina ai numeri del 2015, quando dopo essere stato messo sotto accusa dai giudici europei, il Paese avviò un processo di “deflazione”, arrivando a 52 mila detenuti.
La riduzione dell’ultimo anno, sottolinea Antigone, è però “esito più di attivismo della magistratura di sorveglianza che non dei provvedimenti legislativi in materia di detenzione domiciliare”.
Il numero delle carceri è rimasto lo stesso: 189. La capienza regolamentare è invece scesa da 50.931 posti a 50.551. Il tasso di affollamento ufficiale – il rapporto tra posti e detenuti – è al 106,2 per cento, ma considerando che il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie, come la chiusura dei reparti, Antigone stima un sovraffollamento al 115 per cento. “Per arrivare al 98 per cento della capienza ufficiale regolamentare – sostiene l’associazione -, considerata in alcuni paesi la percentuale fisiologica”, è necessario “deflazionare il sistema di altre 4.000 unità, che diventano 8.000 se si tiene conto dei reparti transitoriamente chiusi”. Un numero alla portata, se si considera che 19.040 detenuti hanno un residuo pena inferiore ai tre anni, una parte di questi sono potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione. Da tale cifra va sottratta la quota sottoposta a divieti normativi in ragione del reato commesso, ma – spiega Antigone – “se solo metà di loro ne fruisse avremmo risolto parte del problema dell’affollamento carcerario italiano”.
La situazione socio-anagrafica
Su circa 53.700 detenuti sono 851 le persone con più di 70 anni e una parte di loro è in regime di alta sicurezza o in 41-bis. Il rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone fotografa anche la situazione socio-anagrafica della popolazione dei penitenziari italiani. Sono 9.497 gli infra-trentenni, “una popolazione giovane – afferma l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri – che dovrebbe spingere l’amministrazione a organizzare un piano di azioni educative, scolastiche, culturali e di avviamento al lavoro che tenga conto della loro giovane età”.
Solo un detenuto su dieci ha la laurea o una licenza di scuola media superiore. I detenuti che frequentano la scuola sono circa un terzo del totale. Nell’anno scolastico 2019/2020 gli iscritti erano 20.263 (il 33,4 per cento del totale). Sono 17.115 le persone detenute che lavorano (anche saltuariamente). Oltre l’85 per cento (15.043 persone) è alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, e solo 2.072 persone lavorano per datori di lavori esterni.
Le carenze di personale
Su un organico di 37.181 unità, ad oggi sono 32.545 gli agenti di polizia penitenziaria realmente operativi. La differenza fra personale previsto e personale effettivamente presente è pari al 12,5 per cento. La carenza di agenti rispetto all’organico non è però equamente distribuita a livello nazionale. Ci sono provveditorati con un sotto organico superiore al 20 per cento, come in Sardegna e in Calabria, segnala l’associazione, e altri invece con un numero di unità effettive leggermente superiore al numero di quelle previste, come in Campania e in Puglia-Basilicata. Stessa carenza anche per gli educatori. Con un organico previsto di 896 unità, sono ad oggi – si legge nel rapporto 733 i funzionari giuridico-pedagocici effettivamente presenti negli istituti penitenziari. Il sotto organico totale è pari a più del 18 per cento, a fronte del 13,5 per cento registrato a metà 2020. I provveditorati con carenze di organico più significative sono la Campania e l’Emilia Romagna-Marche.