Le azioni positive per il reinserimento delle persone detenute di origine rom e sinti

Illustrati all'Istituto Jemolo i risultati di una ricerca internazionale coordinata dai ricercatori dell'Università di Firenze
Da sinistra: il Professor Emilio Santoro, il Capo del Dap, Giovanni Russo, e il Garante Anastasìa.
Da sinistra, al tavolo della presidenza del convegno: il professor Emilio Santoro, il Capo del Dap, Giovanni Russo, e il Garante Anastasìa.
L’Istituto di studi giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo ha ospitato, il 29 settembre scorso,  un incontro promosso dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio sul tema “Tra inclusione e re-inclusione: azioni positive per il re-inserimento delle persone detenute di origine rom e sita in Italia”, nel corso del quale è stato presentato il progetto di ricerca “Between Inclusion and Re-inclusion: How to Deal with Roma Offenders (Roma Off-In), finanziato dal bando della Commissione Europea- JUST-AG-2016-06, che vede come partner, l’Università di Firenze (coordinator) per l’Italia, L’European strategies consulting (Esc), per la Romania, e la Bulgarian Helsinki committee association (Bchaa) per la Bulgaria.
Dopo i saluti del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, e del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, ha presieduto i lavori Emilio Santoro, il docente che ha guidato il team di ricerca dell’Università di Firenze, di cui fanno parte Giuseppe Caputo, Sofia Ciuffoletti, Maria Cristina Frosali. Tra gli intervenuti, la Garante di Roma Capitale, Valentina Calderone.

Come hanno spiegato i ricercatori, tra i vari campi di studio relativi alla discriminazione nei confronti di persone rom, quello che riguarda il reinserimento sociale dei detenuti e delle detenute è il più trascurato. Se, infatti, la letteratura ha nel tempo dimostrato che diversi gruppi di persone detenute vivono il reinserimento sociale in modo specifico, non ci sono studi specifici sulle pratiche di reinserimento delle persone di origine rom, nonostante il loro coinvolgimento con la giustizia penale sia stato da tempo riconosciuto. Una fonte di informazioni preziose proviene da un recente studio condotto in Norvegia e Romania.

Sofia Ciuffoletti, ricercatrice all'Università di Firenze e Garante dei diritti delle persone detenute di San Gimignano,

Sofia Ciuffoletti, ricercatrice all’Università di Firenze e Garante dei diritti delle persone detenute di San Gimignano,

Partendo dalle conclusioni di questo studio (che ha visto il coinvolgimento diretto del partner rumeno del progetto Roma Off -In) e al fine di colmare questa lacuna, il progetto si è concentrato su una ricerca scientifica in cui l’esperienza pre-rilascio e post-rilascio sono state studiate da una prospettiva etnografica, selezionando le migliori pratiche per gli autori di reati rom e identificando i fenomeni di discriminazione.

Design di progetto e risultati

Come ci ha spiegato una delle ricercatrici, Sofia Ciuffletti, Garante delle persone detenute di San Gimignano, il design del progetto si basa sulla individuazione di buone prassi e dei casi di discriminazione diretta, indiretta, istituzionale e fra privati, attraverso una ricerca etnografica effettuata negli istituti penitenziari maschili e femminili, consistente nella comparazione fra tre contesti europei altamente significativi per la ricerca relativa alle comunità Rom: Italia, Bulgaria e Romania. Il campione di ricerca ha coinvolto 40 partecipanti (20 uomini e 20 donne) detenuti e detenute e li ha accompagnati nelle varie fasi del processo di reinserimento sociale, dal carcere, alla libertà e ai primi mesi post-rilascio.

“Un primo risultato della ricerca – ha spiegato Ciuffoletti – (considerato come fattore di discriminazione indiretta) è costituito dall’assenza di criteri formali di identificazione da parte dell’amministrazione penitenziaria, rispettosi del principio dell’auto-identificazione e del conseguente etero-riconoscimento, con la conseguenza del perpetuarsi del cosiddetto numero invisibile di persone appartenenti alla comunità Rsc (Rom, Sinti e Caminanti) e alla impossibilità di immaginare azioni positive a contrasto delle discriminazioni indirette, istituzionali e fra privati. Al contempo sono state individuate (e stigmatizzate) prassi di etero-identificazione operate unilateralmente e informalmente dall’Amministrazione penitenziaria”.

Attraverso l’impiego delle categorie interpretative del diritto antidiscriminatorio, la ricerca ha inoltre permesso l’emersione dei portati discriminatori all’interno dei percorsi di reinserimento sociale delle persone appartenenti alle comunità Rsc, segnalando in particolare le potenzialità negative della discriminazione intersezionale vissuta dalle donne detenute appartenenti alle comunità Rsc.

A seguito della ricerca etnografica sono state individuate, in ogni contesto, le seguenti buone prassi:

Italia

  1. Lo sportello sociale – è una struttura gestita solitamente da una Ong che mira a risolvere i problemi sociali e di cittadinanza dei detenuti. Il vantaggio di questa struttura è che è collegata al sistema di assistenza sociale all’esterno del carcere.
  2. La figura dell’educatore-ponte – sono personale del carcere che mette in contatto i detenuti con le risorse esterne al carcere.

Bulgaria

  1. La bozza della nuova Strategia nazionale per l’inclusione dei Rom che menziona i detenuti Rom come gruppo target per interventi specializzati.
  2. Una Ong che lavora nelle carceri di Sofia per facilitare l’occupazione dei detenuti svantaggiati, compresi i Rom.
  3. Social card: un sostegno finanziario alla liberazione (100 e) per persone detenute svantaggiate sotto forma di card per l’accesso a una serie di Servizi.

Romania

  1. Mediatore educativo – rappresentanti della comunità rom che agiscono come mediatori tra la scuola e la comunità per sostenere l’integrazione scolastica e prevenire l’abbandono scolastico.
  2. Mediatore sanitario – rappresentanti della comunità rom che agiscono come mediatori tra il sistema sanitario e la comunità per facilitare l’accesso al diritto alla salute.
  3. Solidarietà informale – forte solidarietà parentale nella comunità rom che sostiene il ritorno a casa degli ex detenuti.
  4. L’esistenza di un’Agenzia nazionale per i Rom che opera come istituzione pubblica indipendente a livello centrale.

“A seguito di questa individuazione di buone prassi – ha proseguito Ciuffoletti – risultante dalla ricerca sul campo, sono stati organizzati, in ogni contesto, focus group condotti per valutare la compatibilità di queste prassi con il contesto nazionale, oltre a discutere i casi di discriminazione rilevati. I due focus group condotti in Italia hanno contribuito da un lato ad aggiungere una comprensione più stratificata e complessa delle sfide e delle discriminazioni che i detenuti rom vivono quotidianamente all’interno del carcere e durante il percorso di risocializzazione. A seguito delle questioni emerse a seguito del processo di valutazione della compatibilità, è stata elaborata una proposta teorica di aggiustamento delle buone prassi per permettere una loro traduzione nel contesto italiano. Questa proposta è stata poi discussa in un ulteriore focus group. I focus group hanno confermato la valutazione teorica relativa alla precarietà dello status, alla mancanza di cittadinanza o di permesso di soggiorno e alla condizione di “straniero” senza documenti nel Paese in cui si è nati o si è vissuto fin dall’infanzia”.

I ricercatori sono giunti a diverse conclusioni. Innanzi tutto, è stata individuata la necessità per l’Amministrazione penitenziaria e l’Ufficio di sorveglianza di raccogliere dati sul numero delle persone detenute appartenenti alle comunità Rsc basati sul principio dell’autoidentificazione, per comprendere meglio la situazione e sostenere l’attuazione di politiche e programmi per la comunità rom. “A questo proposito – spiega Ciuffoletti – si dovrebbe negoziare una buona prassi per sostenere e formare gli agenti, gli assistenti sociali e gli educatori dell’Amministrazione penitenziaria e dell’Ufficio di sorveglianza, affinché includano un approccio sensibile all’etnia durante il primo colloquio di ingresso o il primo incontro con una persona in carcere o in una misura alternativa alla detenzione”.

Lo sportello sociale italiano e la figura dell’educatore-ponte

Lo sportello sociale, una struttura gestita da una Ong che mira a risolvere i problemi sociali e di cittadinanza dei detenuti, è visto come una buona pratica interna (locale) che deve essere esportata e implementata in altri contesti italiani per affrontare uno dei principali ostacoli a un corretto percorso di risocializzazione. Gli educatori di ponte sono considerati e riconosciuti come un’importante buona pratica interna che si sta diffondendo al di fuori del contesto locale (Toscana) in cui è stata elaborata.

La strategia nazionale bulgara e la social card

Riguardo alla bozza di strategia nazionale per l’inclusione che menziona i detenuti rom come gruppo target per interventi specializzati : si ritiene rilevante includere nella nuova strategia nazionale per l’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione di rom e sinti. In questa prospettiva specifica, un’importante proposta e risultato di questo progetto è la possibilità di istituire un gruppo di lavoro multi-stakeholder dedicato al carcere, alle strategie di inserimento e re-inserimento sociale e alle discriminazioni specifiche all’interno dei contesti penali e di probation. I gruppi di lavoro multi-stakeholder dedicati sono stati istituiti dalla nuova Strategia nazionale con l’obiettivo di indagare questioni specifiche di interesse prioritario e significativo per l’attuazione della Strategia.

“Intendiamo proporre – ha spiegato Ciuffoletti – , attraverso l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), l’istituzione di un gruppo di lavoro ad hoc che tragga spunto dai risultati di questo progetto. Una Ong che lavori all’interno dei contesti penitenziari per facilitare l’inserimento lavorativo dei detenuti svantaggiati, comprese le persone Rom, è un’importante best practice, ma è vista come qualcosa di già esistente. Appare più utile una formazione specifica per gli operatori e i volontari che lavorano in questi organismi riguardo alla questione specifica delle discriminazioni basate sull’etnia e sull’appartenenza alla comunità Rsc, al diritto antidiscriminatorio e ai problemi specifici affrontati dalle persone detenute ed ex detenute Rom nel compito di trovare un lavoro. Il sostegno finanziario per i detenuti svantaggiati è una misura considerata già esistente, utile, ma di per sé non sufficiente ad aiutare nel periodo successivo alla liberazione”.

I mediatori educativi e i mediatori sanitari

I mediatori educativi, rappresentanti della comunità Rom che agiscono come mediatori tra la scuola e la comunità per sostenere l’integrazione scolastica e prevenire l’abbandono scolastico e il mediatore sanitario è stata una delle migliori pratiche più discusse e apprezzate in virtù della specificità dell’approccio. Sembra particolarmente importante per la sua capacità di affrontare la questione dell’educazione e la natura complessa dell’approccio istituzionale verso la genitorialità nei confronti di persone appartenenti alle comunità Rsc. Allo stesso tempo, il mediatore sanitario è visto come uno strumento importante per tenere conto di alcune resistenze specifiche, sostenere la fiducia nel livello istituzionale e per gestire alcune discriminazioni intersezionali relative alla medicina di genere.

L’Agenzia nazionale rumena per i Rom

Un organo unico e centralizzato, come l’Agenzia nazionale per i Rom, è visto come un fattore importante per trovare un interlocutore adeguato a livello comunitario per i problemi e le soluzioni comuni. Allo stesso tempo, i focus group hanno espresso il timore di una scarsa rappresentatività dell’Agenzia nazionale in quanto organismo formale e istituzionale, incapace di rappresentare la diversità e la pluralità delle esperienze delle comunità rom (sinti e caminanti) in Italia. Ancora una volta, la proposta teorica del progetto punta a discutere la possibile realizzazione, non solo di un focus group multi stake-holders, ma anche dei fora locali (a livello regionale o distrettuale) che possano portare questioni critiche, possibili soluzioni e negoziazioni di significato ai livelli nazionali e centrali e che investano nella valorizzazione del pluralismo culturale e sociale espresso dai singoli contesti locali.

Un momento della conferenza nazionale Roma Off In all'Istituto regionale di studi giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo.

Un momento della conferenza nazionale Roma Off In all’Istituto regionale di studi giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo.