“Tornate in cella”: il crudele San Silvestro dei semiliberi

di Stefano Anastasìa*

Naturalmente sono già stati contattati: la notte di San Silvestro, tra le 22 e le 23, invece di prepararsi al brindisi di fine anno, dovranno presentarsi in carcere per la loro prima notte nel vecchio regime, quello di prima della pandemia, di giorno liberi, di notte detenuti, “semiliberi” appunto.

Qualche dirigente sanitario, ignaro delle peculiarità delle loro condizioni di detenzione, vorrebbe anche applicargli la normativa anti-covid (quella che non gli si può più riconoscere per farli stare fuori anche di notte), e dunque immagina che debbano essere isolati per cinque giorni (come è disposto per gli arrestati), anche se i semiliberi ogni santo giorno escono dal carcere, hanno un’attività lavorativa e quindi non possono stare in isolamento per cinque giorni ogni volta che rientrano in carcere. E peraltro sarebbe anche inutile, visto che le sezioni dove i semiliberi sono ospitati per la notte non comunicano con quelle dei detenuti ordinari, e dunque il loro ingresso in carcere non costituisce un pericolo di diffusione del virus in carcere, e certamente lo è di meno dell’ingresso quotidiano del personale educativo, sanitario e penitenziario che ogni giorno entra in carcere dall’esterno e ha diretto contatto con i detenuti delle sezioni ordinarie. Ma vabbè, questi sono fiscalismi che, anche con l’aiuto delle direzioni e del personale penitenziario, il personale sanitario riuscirà a superare.

Il fatto, però, resta che a fine anno centinaia di detenuti dovranno far rientro in carcere dopo due anni e mezzo di ottima prova in licenza straordinaria, che consentiva loro, appunto, di restare a dormire a casa. Ma, si dirà (e si dice), quelle licenze erano straordinarie, motivate dalla emergenza covid che non c’è più, e dunque non si possono protrarre ulteriormente. Ma, così dicendo, si dimentica che quelle licenze sono un fatto che ha cambiato l’esperienza penale di centinaia di persone e l’ordinamento, gli operatori e la politica non possono non tenerne conto. Per due anni e mezzo si è sperimentata l’ammissione di centinaia di persone a una sorta di libertà vigilata, sotto controllo dell’ufficio di esecuzione penale esterno e supervisione del magistrato competente. Nella stragrande maggioranza dei casi, queste persone hanno ripagato la fiducia che è stata loro data, comportandosi correttamente e dimostrando di essere pronte per un reinserimento pieno nella vita civile. E ora che facciamo, li riportiamo a dormire in carcere come se nulla fosse stato?

Si tratta, chiaramente, di una cosa priva di senso e contraria a un elementare sentimento di giustizia, oltre che a un principio fondativo del nostro ordinamento penitenziario. La finalità rieducativa della pena prescritta dall’articolo 27 della Costituzione, come qualsiasi processo educativo, si fonda su una progressione nell’acquisizione di competenze e di autonomia della persona. E il patto educativo funziona nella misura in cui i progressi del discente (nel nostro caso, del condannato) vengono riconosciuti dall’autorità educante. Per questo nella teoria e nella pratica penitenziaria si parla di “progressione trattamentale”: i passi si fanno uno per volta, ma – se non ci sono accidenti – si fanno in una direzione, in quella dell’autonomia, della responsabilità, del reinserimento sociale. Come è possibile, allora, che persone che hanno fatto uno, due, tre passi avanti, fosse pure a causa del covid, ora debbono tornare indietro? Come si può tornare indietro senza ledere quella fiducia reciproca che si è instaurata tra i condannati in regime di semilibertà, la giurisdizione competente e le amministrazioni dello Stato delegate?

Già un anno fa, noi garanti territoriali, nominati dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni, avevamo chiesto a Governo e Parlamento di affrontare e risolvere questo problema, e una proroga delle licenze straordinarie fu disposta fino al 31 dicembre 2022. Per questo oggi, a una settimana dalla scadenza di quella proroga, torniamo a chiedere che quelle licenze straordinarie siano ulteriormente prorogate, almeno di un anno, auspicando che – nel frattempo – si possa serenamente discutere della opportunità di convertire quelle misure di semilibertà in affidamenti in prova al servizio sociale o in liberazioni condizionali, cioè in misure penali che non prevedano più il rientro in carcere, se non in caso di revoca per gravi infrazioni disciplinari o per la commissione di nuovi reati.

Il Parlamento ha già discusso della opportunità della proroga in occasione dell’esame in Senato del decreto-legge anti-rave e la maggioranza ha ritenuto di non dover approvare le proposte in tal senso dell’opposizione, ma ora c’è un nuovo, ultimo passaggio istituzionale, l’adozione del decreto-legge “milleproroghe”. Il Consiglio dei ministri ne ha discusso mercoledì scorso. Nelle prime bozze del decreto, pur rimanendo alcune misure varate durante l’emergenza covid, della proroga delle licenze straordinarie per i semiliberi non c’è traccia, ma noi non demordiamo: come si dice, la speranza è l’ultima a morire. Per questo noi garanti territoriali abbiamo deciso di metterci in fila, dietro il nostro decano Franco Corleone, in un digiuno a staffetta, finchè sarà necessario, per sollecitare il Governo a fare la cosa giusta ed evitare il rientro in carcere chi ha dimostrato di poter stare fuori in condizioni di autonomia e legalità.

*Portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà

(Articolo pubblicato nel Riformista di sabato 24 dicembre 2022)