“Una sofferenza per i bambini crescere così”

Intervista a Stefano Anastasìa*

In riferimento alle modifiche approvate in commissione giustizia della Camera sulla proposta di legge sulle detenute madri che ne hanno bloccato l’esame in aula, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio e Portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali, Stefano Anastasìa, ha sottoscritto l’appello di Cittadinanzattiva e A Roma Insieme – Leda Colombini rivolto al presidente e ai componenti della commissione Giustizia della Camera dei deputati per ripristinare lo spirito originario della proposta di legge e liberare i bambini detenuti nelle carceri al seguito delle mamme. Nel quotidiano La Repubblica di venerdì 24 marzo è stato pubblicato un articolo sull’argomento con l’intervista di Viola Giannola ad Anastasìa che pubblichiamo qui di seguito.

“A Rebibbia io scorso anno una donna ha partorito in carcere, senza assistenza sanitaria e senza personale specializzato: inimmaginabile. Ma prima ancora dei diritti delle mamme, qui parliamo dei diritti dei minori. I bambini sono liberi. Come si può farli crescere chiusi in una struttura?”. Se lo chiede retoricamente Stefano Anastasia, Garante dei detenuti del Lazio, dove oggi ci sono due donne recluse con due figli al seguito. Com’è crescere nella sezione nido di un carcere?

“Seppur arredata come un asilo è sempre una struttura carceraria, con la recinzione, le guardie. I bimbi vivono reclusi lì dentro, soli con le madri, tranne quando qualcuno li accompagna all’asilo o raramente a una gita. E a tre anni via, separati dalle mamme”.

E negli istituti a custodia attenuata?

“Gli Icam sono quattro. E, salvo Milano, all’interno del perimetro del carcere seppur distaccati. Gli agenti sono in borghese, le sbarre camuffate, ma a gestirli è sempre l’amministrazione penitenziaria, si entra e si esce fino ai sei anni dal portone del carcere passando dai controlli della vigilanza”.

A Roma e Milano ci sono invece due case famiglia protette. Funzionano?

“Non hanno mai dato problemi di sicurezza. Sono gestite dal terzo settore, non ci sono sbarre ma una recinzione coperta da siepi, le donne possono stare in casa o nel giardino con i loro bambini che restano lì fino ai dieci anni, possono portarli all’asilo o dal medico, se autorizzate. E i bimbi possono anche andare da un amico perché qualcuno li accompagna. L’obiettivo giusto è solo questo: tenere insieme il diritto dei bambini a stare con le madri e al tempo stesso non stare in carcere. Per farli vivere come tutti gli altri”.

*(Intervista di Viola Giannola a Stefano Anastasìa pubblicata ne La Repubblica di venerdì 24 marzo 2023)