62.761 persone detenute: che fare?

di Stefano Anastasìa

Basterebbe un provvedimento di indulto per le pene o i residui di pena fino a due anni per cancellare il sovraffollamento e rimettere in funzione il sistema penitenziario italiano. 16.568 persone, il 31 maggio scorso, scontavano pene o residui pena inferiori a due anni: tanti quanti sono ospitati in eccesso nelle nostre carceri

Erano 62.761 le persone detenute nelle carceri italiane il 31 maggio scorso: 11.437 in più della capienza complessiva, 16.016 in più rispetto ai posti regolamentari effettivamente disponibili (4.579 posti sono in camere, sezioni o istituti in ristrutturazione o manutenzione). Da qui il famoso indice di sovraffollamento del 134,29%, il che significa che dove ci sono cento posti, ci stanno in media 134, 135 persone. Un terzo di persone in più (in una camera, in una sezione, in un carcere), significa non solo una più difficile convivenza in ambienti spesso angusti e soffocanti (specie ora, che si va incontro al gran caldo dell’estate), ma anche meno personale e servizi a disposizione: la pianta organica (peraltro spesso lacunosa, oggi in particolare tra il personale di polizia e quello sanitario) è programmata sulla capienza regolamentare, non sulle sue violazioni, e questo significa che anche laddove, come nel caso degli educatori, la pianta organica è stata finalmente riempita, non è sufficiente a una efficace presa in carico individualizzata di tutte le persone detenute. E non parliamo delle piante organiche deficitarie, come quella della polizia, dove uno-due poliziotti, soprattutto nei turni notturni, devono far fronte alle istanze di cento, centocinquanta detenuti: se due detenuti chiedono aiuto su due piani diversi, l’agente in servizio deve lanciare la monetina per decidere da chi andare per primo, e magari era quello che se la passava meglio …

Tutto ciò dovrebbe essere necessario e sufficiente a intervenire con urgenza per porvi rimedio, secondo i vincoli costituzionale per cui le pene 1) non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e 2) devono tendere alla rieducazione del condannato. La prima misura necessaria dovrebbe essere rimettere in pari il numero delle persone detenute con quelle a cui l’Amministrazione penitenziaria, le amministrazioni pubbliche concorrenti e la società civile possano effettivamente garantire un trattamento dignitoso e una offerta di sostegno e di opportunità formative e lavorative idonee a consentirne il reinserimento sociale in condizioni di autonomia e legalità. Tendenzialmente, bisognerebbe pensare a un numero chiuso in carcere, come peraltro auspicato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura: in carcere resterebbero gli autori dei reati più gravi e la “detenzione sociale”, quella prodotta dalla carenza di politiche e servizi di sostegno sociale, formativi e di inserimento lavorativo sarebbe restituita al territorio che se ne dovrebbe far carico. Piuttosto che continuare a buttare soldi in un sistema che produce tassi di recidiva fallimentari, varrebbe la pena tornare a investire sui servizi territoriali. Nel frattempo, però, bisognerebbe avere il coraggio di assumere decisioni ineludibili, come quella dell’adozione di un provvedimento di clemenza idoneo a riportare le nostre carceri nella legalità e nella dignità delle condizioni di vita e di lavoro. Basterebbe un provvedimento di indulto per le pene o i residui di pena fino a due anni per cancellare il sovraffollamento e rimettere in funzione il sistema penitenziario italiano. 16.568 persone, il 31 maggio scorso, scontavano pene o residui pena inferiori a due anni: tanti quanti sono ospitati in eccesso nelle nostre carceri.

Grazie a una importante presa di posizione del Presidente del Senato, si discute della ripresa del percorso parlamentare della proposta dell’on. Giachetti per una “liberazione anticipata speciale”, che porti fino a 75 giorni a semestre (trenta più di quanti non siano oggi) lo sconto di pena per coloro che abbiano dato prova di “partecipazione all’opera di rieducazione”. E’ una misura che era già stata adottata provvisoriamente nel 2013, a seguito della condanna della Corte europea per i diritti umani per il sovraffollamento strutturale del sistema penitenziario italiano, ed aveva concorso a riportare il nostro sistema detentivo entro parametri accettabili. Anche oggi avrebbe certamente un positivo effetto di decarcerazione, ma bisogna ricordare che non fu l’unico provvedimento che contribuì a ridurre le presenze in carcere tra il 2013 e il 2015, quando – con gli stessi numeri di oggi – eravamo sotto monitoraggio del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa: ricordo, per esempio, le sentenze della Corte costituzionale che smontarono pezzo per pezzo gli aggravamenti alla legge sulle droghe introdotti dalla cd. legge Fini-Giovanardi e i moniti del Presidente della Repubblica Napolitano e della Corte costituzionale, con la sentenza 278/2013, per la riduzione delle presenze in carcere, che certo influirono sul margine discrezionale di applicazione delle norme da parte di tutti gli operatori del settore, dal poliziotto in servizio di prevenzione sul territorio al magistrato di sorveglianza chiamato ad approvare un’alternativa al carcere. Quel contesto oggi non c’è, e al contrario c’è un’enfasi retorica sul carcere come unica pena “certa” che ispira gran parte della legislazione più recente. E c’è un clima in carcere che ha fomentato negli ultimi anni una continua conflittualità tra detenuti e polizia, che si placa solo quando la contesa diventa tra gruppi di detenuti per chi deve gestire un traffico illecito all’interno del carcere: a chi si applicherà la liberazione anticipata per buona condotta se i procedimenti disciplinari nel 2024 sono stati 35.693 e la violazione di norme penali denunciate all’autorità giudiziaria 15.294? E con quali tempi, visto che una liberazione anticipata, speciale o no che sia, deve essere sempre approvata dalla magistratura di sorveglianza, a tal punto sovraccarica di procedimenti da aver lasciato maturare un arretrato di circa 100mila richieste di ammissione alle alternative al carcere da parte di altrettanti “liberi sospesi”, condannati a una pena inferiore a quattro anni e che hanno chiesto di poterla scontare in esecuzione penale esterna?

Si faccia, dunque, la liberazione anticipata speciale, ma non si pensi così di risolvere rapidamente ed efficacemente il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane. L’alternativa è sempre la stessa: un carcere bulimico, che ingloba ogni forma di devianza e di marginalità sociale, o il carcere dell’extrema ratio, che si limita alla reclusione degli autori dei reati più gravi o compiuti in associazione criminale. Un sistema penitenziario per 70, 80 o centomila detenuti, con i relativi spazi e il personale necessario, o uno per 30-40mila detenuti e strutture di accoglienza sul territorio per la prevenzione e il recupero degli autori di reati minori e senza una propria rete di relazioni e sostegno sociale che gli consenta di scontare la pena in alternativa al carcere. Anche se si è orientati verso la prima soluzione, come mi sembra che sia negli indirizzi del Governo, oltre che molti soldi, ci vorrà il suo tempo per vedere realizzato un piano edilizio e assunzionale così imponente: cinque, dieci, venti anni, sulla base delle esperienze passate (la Corte dei conti ha recentemente richiamato il Governo in carica e i suoi predecessori alla mancata attuazione del piano straordinario previsto dal Governo Berlusconi nel 2010!). E intanto che si fa? L’amnistia e l’indulto sono gli unici strumenti straordinari, rapidi ed efficaci previsti dalla Costituzione, che richiedono il consenso di maggioranza e opposizione, come fu nel 2006, quando il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi votarono concordemente un indulto di tre anni, con lo strabiliante risultato di dimezzare la recidiva tra i suoi beneficiari. Azzerato il sovraffollamento, maggioranza e opposizioni potranno tornare a dividersi sul futuro, ma almeno avranno guadagnato il tempo per realizzarlo e avranno posto termine a questa costante violazione della Costituzione che si sta consumando nelle nostre carceri.