La Cedu condanna l’Italia per la detenzione di un giovane malato a Rebibbia

Riconosciuta l’illegittimità della detenzione delle persone destinatarie di misure di sicurezza. Anastasìa: “Non è un problema di posti in Rems, ma di accoglienza sul territorio e di cultura giurisdizionale”
La sede della Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo.

Affetto da turbe della personalità e bipolarismo, doveva essere detenuto in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) e non in un carcere come Rebibbia. Lo avevano sancito anche i tribunali italiani. Ma Giacomo Sy, 28 anni,  ha finito per trascorrere due anni nel carcere romano, perché nelle Rems non c’era posto e le autorità non sono state in grado di trovare una soluzione alternativa. Alla fine, il giovane si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che ha condannato l’Italia per averlo trattato in modo inumano e ha stabilito che lo Stato dovrà versargli 36.400 euro per danni morali.

“Da anni denunciamo come illegittimo il trattamento di persone destinatarie di misure di sicurezza e la Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce l’illegittimità di questa detenzione senza titolo”. Così il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Stefano Anastasìa, dopo aver appreso della sentenza. “Il problema- prosegue Anastasìa – è quello di un abuso di misure detentive che dovrebbero essere l’extrema ratio e che invece sono sono adottate senza stretta necessità. Il che comporta l’intasamento delle Rems e alla crescita delle liste di attesa. Per essere chiari, la Regione Lazio è interessata direttamente a questo caso e ha un numero di posti in Rems di gran lunga superiore alla media nazionale. Dunque – conclude Anastasìa -, non è un problema di posti, ma di accoglienza sul territorio dei casi meno gravi e di cultura dei giudici ancora troppo portati a considerare  pericolosa qualsiasi forma di malattia mentale”.

La vicenda inizia nel luglio del 2018, quando Giacomo Seydou Sy, nato nel 1994 e residente a Mazzano Romano (Roma), è arrestato per furto e resistenza alle forze dell’ordine. L’uomo è già conosciuto dalla giustizia, che sa del suo stato psichico non compatibile con il carcere, ma viene messo in detenzione preventiva a Rebibbia. Da quel momento sarà sottoposto a diverse valutazioni, che confermeranno la sua pericolosità sociale e che è parzialmente irresponsabile degli atti che commette, ma soprattutto che visti i suoi disturbi non può restare in prigione ma deve scontare la pena in una struttura dove possa essere curato. Sy sarà infine condannato, ma il giudice deciderà che data la sua situazione deve essere messo agli arresti domiciliari. Giacomo non rispetta però le restrizioni e ritorna quindi in carcere. Vi resterà fino al 27 luglio del 2020, nonostante i tribunali italiani abbiano stabilito che deve essere spostato in una Rems, e il 7 aprile del 2020 la Corte di Strasburgo abbia intimato all’Italia di spostarlo in una struttura adatta, non necessariamente una Rems.
Nel condannare l’Italia, la Corte di Strasburgo nota che “nonostante la salute mentale di Sy fosse incompatibile con la prigione, l’uomo è restato due anni a Rebibbia, in un contesto caratterizzato da cattive condizioni carcerarie e senza una terapia per rimediare ai suoi problemi e evitare che si aggravassero”.

I giudici di Strasburgo evidenziano anche che “i governi hanno l’obbligo di organizzare il sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà finanziaria o logistica”.