Progetto “Semi liberi”, agricoltura sociale a Viterbo

La cooperativa Orto fa il punto sulle attività realizzate con i finanziamenti della Regione Lazio
Un'immagine simbolo del progetto di agricoltura sociale "Semi liberi"

Si sono appena concluse le attività di quest’anno di Semi liberi il progetto di agricoltura sociale nella Casa circondariale di Viterbo iniziato lo scorso aprile, attuato dalla cooperativa sociale Orto- Organizzazione recupero territoriale e ortofrutticole, grazie ai finanziamenti 2020 per gli interventi a favore della popolazione detenuta della Regione Lazio, previsti dalla legge regionale n. 7/2007.

“Il progetto Semi liberi – spiegano gli organizzatori della cooperativa Orto – si impernia su attività di formazione di base, avanzata e continua, trasferimento di competenze auto-imprenditoriali, inserimenti lavorativi, avviamento al lavoro agricolo multifunzionale. L’attivazione di un’impresa sociale agricola, che agisce sia all’interno che all’esterno della Casa circondariale di Viterbo, ha avuto come primo obiettivo il completamento di un’unità produttiva pilota, già operativa, per la coltivazione in serra e campo aperto e la trasformazione di specie botaniche ad alto valore aggiunto per l’alimentazione e la salute. Il fine, perseguito anche grazie al finanziamento del bando della Regione Lazio a favore delle attività trattamentali, è il raggiungimento della piena efficienza strutturale e produttiva messa a disposizione dei detenuti. Oltre agli interventi strutturali, tale completamento ha promosso la social accountability delle attività e certificato la qualità e la sostenibilità dei prodotti e dei processi di produzione secondo lo schema di certificazione volontaria Sqnpi”.

“Altri obiettivi del progetto – proseguono gli organizzatori della cooperativa Orto – sono stati l’istituzione di percorsi formativi teorici e pratici per 8 ristretti, fra fine pena (pena residua compresa fra 24 e 18 mesi) e detenzione di lunga durata, al fine di migliorare la condizione detentiva e facilitarne il reinserimento lavorativo e sociale, e l’elaborazione e messa a regime di un modello sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico, replicabile e trasferibile ad altre realtà carcerarie. Per rafforzare la qualità delle competenze trasferite, il progetto ha puntato su una rete di formazione integrata (esperti in vivaismo, agronomia, qualità). Ha inoltre iniziato a tessere una rete produttiva e commerciale caratterizzata da etica del lavoro e alta qualità del prodotto, in grado di posizionare la produzione su una fascia di mercato che ne riconosca l’alto impatto sociale e renda il progetto sostenibile”.