Garante dei detenuti e CGIL FP di Roma e Lazio presentano il primo rapporto congiunto sulla situazione delle carceri della Regione

A  fronte  di  un  sovraffollamento  che  ha  raggiunto  quasi  il  50%  (4.834  i  posti  disponibili  nelle carceri,  7.069 i  detenuti  effettivi)  sono  sempre  più pesanti le carenze di organico fra coloro che le carceri le dovrebbero sorvegliare: gli agenti di polizia penitenziaria. Secondo le ultime stime, infatti, in servizio nelle 14 carceri del Lazio ci sono il 25%  di  agenti  in  meno  rispetto  a  quanto  previsto dalla dotazione organica (3.166 effettivi contro i 4.136 previsti). 
 
E’,   questo,   il   dato   più   allarmante   che   emerge   dal primo rapporto congiunto sulla situazione delle carceri del Lazio – intitolato Emergenza carceri Lazio: i diritti violati dei detenuti,  le  condizioni  insostenibili  dei  lavoratori – realizzato  dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni e dalla CGIL funzione pubblica di Roma e Lazio.
Nelle  carceri  della  Regione,  il tasso di sovraffollamento è del 46%.  La  metà  degli  istituti  ha  un sovraffollamento  superiore  al  50%.  Le  percentuali  più  alte  si  registrano  al Nuovo  Complesso di Civitavecchia con l’88% (332 posti, 625 presenti), a Latina con l’85% (86 posti, 161 i presenti) e a Cassino con il 73% (172 posti disponibili, 298 i presenti). In assoluto,  il carcere con più detenuti  è Rebibbia N. C., per altro  privo  di  un  direttore  effettivo, con  1.768  presente a fronte  di  1.218 posti disponibili(45%).  In quasi tutte le carceri non ci sono più i vice Direttori, e a Rebibbia Reclusione, il direttore è a part time perché si occupa anche della Scuola di Polizia Penitenziaria di Via Brava.
Il  lavoro  quotidiano  compiuto  dagli  operatori  del  Garante  (che  nel  2012  hanno  effettuato  quasi 10.000  colloqui  con  i  detenuti)  e  le  testimonianze degli  agenti  hanno  permesso  di  tracciare  un quadro della situazione delle carceri del Lazio che il rapporto non esita a definire “allarmante”. 
 
Il 93% dei 7.069 detenuti sono  uomini; il 40% non  è un cittadino italiano. Il 44% dei reclusi è in attesa  di  giudizio  definitivo.  In  carcere,  oltre  ai 7.000  detenuti,  ci  sono  anche 17 bambini di  età inferiore  ai  3  anni,  figli  di  detenute  madri.  Fra  la  popolazione  maschile  sono  ricompresi  anche 23 transessuali, uomini  per  l’anagrafe  ma  donne  nel  fisico,  rinchiusi  in  speciali  sezioni  delle  carceri maschili per evitare il contatto con gli uomini, con tutte le problematiche che ciò comporta. 
«Dal rapporto – ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni – emerge la crisi di tutti gli ambiti che riguardano il complesso pianeta carcere: dalla sanità all’istruzione, dalla formazione al lavoro fino al delicato tema del reinserimento sociale di chi ha scontato la pena, che comprende la scarsità di comunità alloggio e di case di accoglienza e l’estrema difficoltà a garantire un impiego esterno agli ex detenuti. Una situazione destinata a peggiorare visto che il Prap ha comunicato, per il 2013, tagli di budget per le attività culturali, ricreative e sportive ed alle mercedi dei detenuti lavoranti mentre, per le politiche della tossicodipendenza, non ci sono più stanziamenti. In ultima analisi, la drammatica situazione che stanno vivendo le carceri italiane rende inattuabile l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato».
 
Secondo  il  Garante,  l’ambito  più  delicato  è  il diritto alla salute. In  assenza  di  statistiche ufficiali,  l’esperienza  sul  campo  ha  accertato  che il 35% dei  detenuti  è  tossicodipendente;  circa il 50% assume  psicofarmaci  e  solo il 10% può  contare  su  un  sostegno  psicologico.  Fra  i  detenuti, anche 25  minorati  psichici  ed oltre 150  internati provenienti   dagli   Ospedali   Psichiatrici Giudiziari.  Le carenze riguardano,  soprattutto,  l’assenza  di  una  politica regionale  per  la  sanità penitenziaria a 5 anni dal trasferimento delle competenze dal Ministero di Giustizia alle Asl (DPCM 1/4/08),  che causa una disomogeneità dei servizi erogati. La mappa dei disagi comprende l’assenza di  assistenza  sanitaria  notturna  nel  carcere  di  Rieti,  l’assistenza a  singhiozzo  negli  istituti  per  la carenza di personale, lunghe liste d’attesa per le visite esterne. « Molte problematiche – ha aggiunto il Garante – sono legate al deficit della sanità regionale, che causa ritardi nella redazione dei piani per la salute mentale in carcere, la contrazione dei percorsi terapeutici per i tossicodipendenti e dei programmi in comunità terapeutiche. I mancati pagamenti da parte della Regione hanno causato anche l’interruzione del servizio di Telemedicina in carcere».
Per trovare  una  soluzione, il  Rapporto  Garante/CGIL suggerisce  l’avvio di una programmazione regionale della sanità in carcere che consenta, fra l’altro, di rendere omogenee le procedure delle ASL,  di  potenziare  le  strutture  di  accoglienza,  di garantire  il  pieno  funzionamento  delle  strutture sanitarie nelle carceri e di finanziare progetti di inclusione sociale.
Un capitolo a parte  merita la situazione della polizia penitenziaria.
 
Nel Lazio sono in servizio 3.166 agenti  contro  i 4.136  previsti.  Una  dotazione inadeguata alle  necessità;  basti  pensare  che  nel 2001,  l’Amministrazione  Penitenziaria  aveva  determinato  un  organico  di  4.136  agenti  a  fronte  di 5.397 detenuti mentre oggi, con 7.069 detenuti, gli agenti dovrebbe essere sempre gli stessi.
« Il lavoro dell’agente di Polizia Penitenziaria è l’ emblema dell’impossibilità di essere normali – ha detto Paolo Camardella, segretario regionale CGIL FP Roma e Lazio – per citare alcuni casi, a Regina Coeli un agente deve controllare tre piani, a Frosinone, il pomeriggio e la notte, le sezioni vengono accorpate, a Rebibbia N.C. e a Regina Coeli il lavoro è aggravato dai piantonamenti in ospedale e dalle traduzioni in altri Istituti e in Tribunali. A Viterbo e Civitavecchia si è aggiunta anche l’acqua all’arsenico, che costringe le carceri a rifornirsi all’esterno». 
«Nel rapporto poniamo, alle autorità, alcune domande – ha detto Stefano Branchi coordinatore regionale  FP  Polizia  Penitenziaria – Dove  sono  gli  agenti  che  mancano  rispetto  alla  pianta organica? Oltre ad essere impegnati in compiti istituzionali, sono utilizzati anche in compiti che non riguardano il loro profilo? Quali risposte intende dare l’Amministrazione? Si continuerà a far conto  solo  sul  senso  di  responsabilità  dei  lavoratori  e  a  programmare  turni  di  12/16  ore fronteggiare le carenza di organico?». 
 
«E’ giunto il momento che le istituzioni facciano sentire la propria voce – ha concluso Silvia Ioli, Segretario Regionale CGIL Roma e Lazio – Non si può più continuare a pensare che, all’interno delle carceri, lo Stato sia rappresentato solo dagli Agenti di Polizia Penitenziaria».