La sentenza della Consulta sulle Rems: il dibattito è aperto

C’è chi saluta con favore la sentenza 22/2022 della Corte costituzionale e chi ci vede il profilarsi di un quadro repressivo
L'ingresso della Rems di Pontecorvo.

L’Osservatorio stopopg, il Coordinamento nazionale Rems-Dsm, il Coordinamento nazionale per la salute mentale e numerose altre associazioni si sono date appuntamento martedì 1 marzo, per un incontro pubblico via Zoom dal titolo “Superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e tutela della salute mentale dopo la sentenza 22/2022 della Corte costituzionale”. Oltre ottanta partecipanti collegati hanno discusso sulla decisione di inammissibilità da parte della Consulta del ricorso presentato dal Tribunale di Tivoli contro la legge che ha avviato il processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), la 81/2014, indicando nel contempo chiaramente la necessità di perfezionare la legislazione in materia.

Nella sentenza 22/2022, la Consulta ricorda che le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) sono state concepite dal legislatore, nel 2012, come strutture residenziali con una logica radicalmente diversa dai vecchi ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), caratterizzati da una funzione prevalentemente custodiale. Le Rems, pensate invece in funzione di un percorso terapeutico di progressiva riabilitazione sociale, sono strutture di piccole dimensioni che devono favorire il mantenimento o la ricostruzione dei rapporti con il mondo esterno, alle quali il malato mentale autore di reato può essere assegnato soltanto quando non sia possibile controllarne la presunta pericolosità con l’affidamento ai servizi territoriali per la salute mentale. L’assegnazione alle Rems resta quindi nell’ordinamento italiano una misura di sicurezza, disposta dal giudice penale non solo a scopo terapeutico, ma anche per contenere la pericolosità sociale di una persona che ha commesso un reato. Ciò comporta – ha osservato la Corte – la necessità di rispettare i principi costituzionali sulle misure di sicurezza e sui trattamenti sanitari obbligatori, tra cui la riserva di legge: ossia l’esigenza che sia una legge dello Stato a disciplinare la misura, con riguardo non solo ai “casi” in cui può essere applicata ma anche ai “modi” con cui deve essere eseguita. Al contrario, oggi la regolamentazione delle Rems è solo in minima parte affidata alla legge; in gran parte è rimessa ad atti normativi secondari e ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, che rendono fortemente disomogenee queste realtà da regione a regione.

L’inammissibilità del ricorso contro la riforma che ha avviato il processo di superamento degli Opg, è considerata una buona notizia per chi è impegnato nel superamento della logica manicomiale e per affermare la “tutela della salute come fondamentale diritto”, ma non sono mancate letture di segno diverso. C’è infatti chi vede il profilarsi un quadro repressivo nel monito della Corte al legislatore, affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema, che assicuri anche forme di idoneo coinvolgimento del ministero della Giustizia, nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle Rems esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale degli autori di reato. Come ha dichiarato in un videomessaggio il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, la sentenza 22 si presta a una quantità di interpretazioni, ma non interrompe intrapreso con la decisione di superare il modello coattivo degli ospedali psichiatrici giudiziari.

Stefano Cecconi, a nome degli organizzatori dell’incontro, ha portato al centro del dibattito quello che è considerato il tema dei temi, il superamento del cosiddetto “doppio binario” tra pena e misura di sicurezza, secondo cui alle persone malate di mente autrici di reato, considerate non imputabili, non sono irrogabili pene bensì sono applicate misure di sicurezza. La proposta di legge di Riccardo Magi, elaborata nell’ambito della Società della Ragione, sostiene la necessità di eliminare le misure di sicurezza e di considerare imputabili anche le persone incapaci di intendere e di volere al momento del reato, ma tenendo conto in giudizio delle loro condizioni psichiche e garantendo loro successivamente percorsi terapeutici alternativi al carcere. Anche se venisse abolito il doppio binario, ha sottolineato Cecconi nella conclusione dei lavori, il problema sarà sempre e comunque quello di garantire il diritto alla salute delle persone che hanno commesso un reato. Cecconi ha concluso i lavori, auspicando una riflessione ulteriore sui temi affrontati e ha proposto di chiedere un incontro al governo, in vista di possibili modifiche alla legislazione in materia.