Menzione d’onore per “The women of Rebibbia. Walls of stories”

Si distingue agli International Photo Awards 2020 il reportage sul carcere femminile di Rebibbia della fotografa romana Francesca Pompei
Uno scatto del reportage di Francesca Pompei nel carcere femminile di Rebibbia.
Uno scatto del reportage di Francesca Pompei nel carcere femminile di Rebibbia.

“E’ grazie all’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio che è stato possibile realizzare l’indagine fotografica nella sezione femminile del carcere di Rebibbia”. Così Francesca Pompei, autrice del reportage “The women of Rebibbia. Walls of stories” che ha ottenuto la menzione d’onore agli International Photo Awards 2020. Il concorso annuale per fotografi professionisti, non professionisti e studenti su scala globale, è organizzato dalla Lucie Foundation, fondazione senza scopo di lucro, la cui missione è onorare i maestri fotografi e scoprire i talenti emergenti. “Nell’immaginario collettivo – spiega la fotografa romana specializzata in immagini di arte e architettura – la vita carceraria è alimentata da film ed immagini che trattano quasi sempre la questione da un punto di vista maschile.

Il letto di una detenuta a Rebibbia

Il letto di una detenuta a Rebibbia, nel reportage di Francesca Pompei.

Nell’era del movimento #MeToo e di una generale rivalsa della questione femminile avevo deciso d’indagare cosa sia la detenzione per una donna: il problema della maternità, la relazione con la famiglia e il partner, la dura condizione di convivenza con le compagne di cella spesso di culture e paesi diversi”.

Una cella del carcere femminile di Rebibbia. Foto di Francesca Pompei.

“A Roma, la mia città – prosegue Pompei – la sezione femminile del carcere di Rebibbia è la più grande d’Europa. La sua gigantesca architettura, mutuata sul modello del Panopticon di Jeremy Bentham, è divisa in due corpi principali, il Camerotti (inaugurato nel 1979) e il Cellulare, le cui mura scandiscono inesorabili i tempi quotidiani della prigionia. Così, ho lasciato che questi spazi parlassero per le loro abitanti: le celle, il nido, l’infermeria, gli spazi comuni per le attività sociali ed educative, l’azienda agricola, la sala colloqui, tutti ambienti dove le prigioniere consumano la loro vita per anni. Dato che in carcere non esiste privacy e ogni momento è sotto controllo, ho mutuato le singole prospettive personali in uno sguardo collettivo che avvicina dolore e sollievo in un’unica dimensione, in bilico nella sottile separazione tra violenza e redenzione, solidarietà e dramma. Scoprendo un mondo molto diverso dalle mie aspettative e quasi mai raccontato, questo progetto ha cambiato la consapevolezza sul mio essere e vivere il mio status di donna libera. Magari – conclude Pompei – grazie al potere della fotografia, può farlo anche in qualcun altro”.

Una foto del reportage di Francesca Pompei nel carcere femminile di Rebibbia.