C. R. , detenuto nella sezione Alta sicurezza della casa circondariale di Civitavecchia aveva chiesto di essere trasferito in un istituto penitenziario vicino al luogo di residenza dei familiari. Le videochiamate che sono certamente uno strumento utile ed importante nel garantire un minimo di contatto e relazione tra chi è detenuto e la propria famiglia residente a centinaia di chilometri di distanza non sempre vengono in aiuto, come in questo caso. Infatti, le problematiche di salute del figlio di Camillo, un bambino di tre anni affetto da un disturbo di grado elevato dello spettro autistico, rendono molto difficili quando non impossibili le videochiamate. Diverso sarebbe con i colloqui visivi in presenza, dove la relazione e la comunicazione tra genitore e figlio può essere mediata e facilitata anche da quel contatto fisico a cui la tecnologia non può sopperire.
Il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Stefano Anastasìa, lo scorso gennaio aveva segnalato tale situazione al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), per fare valere il principio contenuto nell’articolo 14 dell’Ordinamento penitenziario che così recita: “I detenuti e gli internati hanno diritto di essere assegnati a un istituto quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di riferimento sociale, salvi specifici motivi contrari”. Di lì a poco C. R. aveva ottenuto il trasferimento richiesto. “Questo fondamentale principio di territorialità della pena detentiva è stato stravolto dall’emergenza pandemica – ha commentato Anastasìa – , ma è tempo che anche in questo campo si torni alla normalità, a partire dai casi più urgenti, come quello segnalato alla competente direzione generale del Dap”.
Territorialità della pena, Anastasìa: “Si torni alla normalità”
Civitavecchia, segnalazione del Garante con lieto fine