Sono in tremila (su 62.000) al lavoro fuori dal carcere

Il 34,3% della popolazione detenuta è coinvolta in attività lavorative, per lo più alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria con salari molto bassi. l posti all'esterno presso altri datori di lavoro sono appena 2021, il 3,3 per cento del totale

Il prossimo 17 giugno si terrà a Roma la seconda edizione del convegno “Recidiva Zero – Studio, formazione e lavoro in carcere e fuori dal carcere”, organizzata dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e il ministero della Giustizia. L’iniziativa, nella quale sono coinvolte pubbliche amministrazioni nazionali e locali, organizzazioni del terzo settore e del privato sociale, associazioni datoriali e sindacali, s’inserisce in un contesto che ancora non si presenta con numeri significativi nell’accesso al lavoro da parte delle persone detenute.

I numeri del Dap

Dagli ultimi dati disponibili e diffusi dal Dap, relativi alla situazione registrata a fine 2024, i detenuti impegnati in una qualche attività lavorativa erano 21.235, vale a dire il 34,3% dell’intera popolazione detenuta (61.861 persone al 31 dicembre 2024). A fine 2023 erano 20.071 in valori assoluti e il 33,4% in percentuale sui detenuti presenti.

Va sottolineato che l’85% di queste occupazioni sono svolte alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria: si tratta prevalentemente di servizi interni al carcere (di pulizia, di cucina, di supporto amministrativo etc.) oppure di manutenzione, ristrutturazione degli edifici e piccole riparazioni. Sono lavori svolti in gran parte all’interno delle strutture penitenziare e solo in poco più di mille casi  in situazioni extramurarie, tipo il bar dell’istituto o della polizia penitenziaria o in piccole mansioni di ufficio.

Per comprendere con più concretezza di quali importi si sta parlando per questo tipo di lavoro, basti sapere che un addetto alle pulizie interne percepisce come mercede a titolo di retribuzione circa 150 euro al mese.

I lavoro all’esterno per soggetti terzi

Quanto alle attività svolte per enti e organizzazioni diverse dall’amministrazione penitenziaria alla fine dell’anno coinvolgevano 3.172 persone, dentro e fuori dal carcere (il 15% dei detenuti lavoranti e il 5% sui detenuti presenti). Rispetto alla fine del 2023, tale valore è cresciuto di 143 unità. Purtroppo, la diffusione delle opportunità lavorative per i detenuti continua a procedere con estrema lentezza.

Negli ultimi cinque anni il numero dei detenuti lavoranti è cresciuto di poco più di 3 mila unità, ma la percentuale sui detenuti presenti dal 2020 a oggi è praticamente rimasta invariata (è passata dal 33,6% al 34,3%).

Il clamore suscitato dal recente femminicidio messo in atto a Milano da parte di un detenuto ammesso al lavoro esterno rischia di frenare ulteriormente questo percorso ad ostacoli, ma, d’altro canto, va altresì considerata l’assoluta esiguità dei numeri delle persone detenute alle quali viene permesso di uscire dal carcere per recarsi al lavoro presso ditte o enti privati: si tratta di poco più di 2.000 persone tra semiliberi (1.123) e con permesso di lavoro esterno (898): il 3% dell’intera popolazione detenuta del nostro Paese.

Nel Lazio solo in 191 ammessi al lavoro esterno

I detenuti lavoranti a fine 2024 risultavano essere 1.788 vale a dire il 26,8% della popolazione detenuta complessiva. Bisogna poi sottolineare che, di queste 1.788 persone, il 92% è occupato in attività alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Inoltre, sono nel complesso 191 quelle ammesse al lavoro esterno.

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